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Morta a 3 anni dopo un trapianto di cuore, i medici: “Poteva essere salvata”

La bimba di 3 anni originaria della periferia di Napoli era stata sottoposta a trapianto di cuore due mesi prima della sua morte. In piena crisi di rigetto, come stabiliscono gli esami post mortem, non è stata sottoposta alla corretta terapia farmacologica: i medici non hanno diagnosticato la crisi in corso.
A cura di Angela Marino
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Poteva essere salvata. È quanto emerge dall'autopsia sul corpo della piccola Irene, la bimba di Scampia morta 2 mesi dopo un trapianto di cuore lo scorso ottobre all'ospedale di Giugliano (Napoli).  A ricostruire quanto accaduto alla bimba di 3 anni affetta da una grave malformazione cardiaca, che aveva reso necessario il trapianto, è stato un team di esperti nominato dalla Procura, che all'indomani della tragica morte di Irene ha aperto un fascicolo. Secondo i medici che hanno eseguito l'esame si è trattato di rigetto. Una complicanza molto frequente nei pazienti che ricevono un organo e che se se fosse stata diagnosticata in tempo – sottolineano cardiologi e medici legali – avrebbe potuto salvare la bimba.

Irene era stata portata dai giovanissimi genitori all'ospedale Monaldi di Napoli il 24 ottobre 2015: 5 giorni prima della sua morte. La bimba lamentava febbre alta e difficoltà respiratorie. I medici del nosocomio – lo stesso in cui è stata operata – l'hanno sottoposta a elettrocardiogramma e successivamente dimessa, senza accorgersi di quanto stava accadendo. La piccola era in piena crisi di rigetto e avrebbe dovuto essere trattata, come da protocollo, con la terapia farmacologica del caso. Ma Irene non viene curata e le sue condizioni si aggravano fino alla folle corsa all'ospedale di Giugliano, dove la piccola spirerà, 5 giorni dopo. A carico sotto inchiesta per omicidio colposo, pesa dunque la grave negligenza di non aver diagnosticato e dunque curato la crisi intervenuta dopo il trapianto.  Il pm Valentina Rametta, a capo delle indagini, dovrà ora decidere il rinvio a giudizio per gli indagati.

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