Napoli, medico morto di tubercolosi, l’allarme: “Infezione ancora presente”
La morte per tubercolosi di una dottoressa all'Ospedale San Paolo di Napoli sta iniziando a creare un allarme: la malattia, mai del tutto debellata nel mondo neppure nei paesi del cosiddetto "occidente civilizzato", è causata da vari ceppi di micobatteri ed è soprattutto infettiva. Questo fa sì che, quando si riscontra un caso come quello della dottoressa deceduta, scatti una mini-psicosi nell'area interessata.
Il caso avvenuto a Napoli, ha fatto sapere Susanna Esposito, Presidente dell'Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (WAidid) ed ordinario di Pediatria all'Università degli Studi di Perugia, "dimostra il fatto che la tubercolosi sia ancora presente nel nostro Paese, e che richieda una diagnosi precoce e un'appropriata terapia". La tubercolosi, infatti, può essere curata ma va evitato che possa restare "latente" in un paziente, perché scoprirla troppo tardi può portare alla morte. "E' importante che tutti i medici siano informati su quelli che sono i sintomi della Tbc, indipendentemente da quelle che siano le loro specialità", ha spiegato ancora la Esposito, "che identifichino precocemente i pazienti con i sintomi della malattia e li sottopongano ad adeguate misure di isolamento e di terapia, oltre ad effettuare su se stessi e sui propri contatti le adeguate misure di screening per identificare l'infezione tubercolare latente".
Non è raro, infatti, che alcuni pazienti contraggano la malattia ma che questa resti latente, ovvero asintomatica: in alcuni casi, in genere con una media di circa una su dieci infezioni latenti, può progredire nella malattia attiva, che, se non trattata, uccide più della metà delle persone infette. Si calcola, infatti, che circa un terzo della popolazione mondiale sia stato infettato dalla tubercolosi, sebbene il rapporto sia pesantemente sbilanciato verso Asia e Africa, dove si arrivano a punte dell'ottanta per cento, contro il "misero" 5-10% degli Stati Uniti.