A Napoli niente Negrettino o Moretto: si chiama Chicchirichì (però abbiamo la Testa di Moro)
Provate a chiedere a Napoli quello che il resto del mondo chiama Moretto, Negrettino, Negrottino, cioè dolcetto low cost ipercalorico di zucchero, cialda, albume e ciocciolato venduto a confezioni di mezza dozzina nei supermercati (e nemmeno nei migliori). Non lo conosce praticamente nessuno. A Napoli quella mini bomba di zuccheri ha un altro nome: è il Chicchirichì. Lo chiamano tutti in questo modo, merito (o colpa) di una pubblicità anni Ottanta e il nome è rimasto così impresso che è difficile immaginarlo in altro modo. Dunque la polemica sul dolcetto col nome da cambiare iniziata in Svizzera (dove il Negrottino/Chicchirichì lì si chiama ‘Moretto') qui all'ombra del Vesuvio non attecchisce proprio.
Semmai dovesse sorgere (ma è abbastanza improbabile) un "Comitato contro i dolci razzisti" partenopeo, sulla scorta di quello elvetico, forse si occuperebbe di un altro dolcetto, o meglio di una pasta, tipicamente napoletana, una eccellenza della tradizione: la "Testa di Moro". Che nulla c'entra con l'altro Moro, quello di Venezia (non la barca, l'Otello di Shakespeare…).
Se infatti a Nord delle Alpi la Testa di Moro o Mohrenkopf, o Tête de negre, è il nostro Chiccchichì, all'ombra del Vesuvio la Testa di Moro è una piccola poesia che raramente si trova nei vassoi delle paste della domenica di altri luoghi. Lo descrive bene su Facebook il maestro pasticciere Marco Infante: «Allora testa di moro, guardami negli occhi, tu non ti devi sentire inferiore a nessuno, puoi avere accanto a te il re di Napoli, il babà, una choux al pistacchio, una crostatina ma tu sei la tradizione, tu sei il sapore unico». La testa di moro napoletana consta di una base di Pan di Spagna, uova, zucchero, vaniglia, ma soprattutto rhum, cioccolato e una copertura di codette al cioccolato.