Omicidio della Smart: ecco perché il “giustiziere di Posillipo” è stato condannato
"Si può sostenere che l' imputato abbia utilizzato l' autovettura come un'arma, intendendo così ‘rispondere' con ogni probabilità, alla rapina subita sotto la minaccia di una pistola, accettando (quantomeno) il rischio di provocare la morte dei due soggetti inseguiti". Le parole sono del giudice Ludovica Mancini e motivano la sentenza a 10 anni di carcere per omicidio volontario ai danni di Leonardo Mirti, 31 anni, ritenuto assassino di Emanuele Scarallo e Alessandro Riccio, di 17 e 18 anni, travolti davanti al parco Virgiliano di Posillipo quartiere “bene” di Napoli, nel cuore di una notte d'agosto del 2013, dopo – così hanno sostenuto le indagini – aver preso parte ad una rapina ad coppia di fidanzati. Mirti, incensurato, fu “inchiodato” processualmente da alcune immagini delle telecamere di video-sorveglianza nella zona. La sua auto, una Smart, si scagliò a tutta velocità contro lo scooter dei due ventenni. L'imputato ha sempre sostenuto in sede processuale di essere stato vittima di una rapina e di aver travolto i due solo dopo a seguito di una fuga determinata dalla paura di subire una nuova aggressione. Qualche giorno fa, come racconta il quotidiano Il Mattino, Mirti era in Aula davanti al tribunale del Riesame per una udienza ed ha potuto leggere le motivazioni della sentenza per omicidio volontario. Scrive il giudice per le indagini preliminari, riportato dal Mattino che "non ci sono segnali di frenata sulla zona" dello scontro, eppure nella prospettiva del Mirti "era altamente prevedibile provocare un incidente mortale per i soggetti a bordo del motociclo". Sconfessata in sede di processo la versione dell'imputato, restano alcuni punti oscuri. Come, ad esempio, su chi, armi in pugno, rubò il cellulare, dando via alla folle notte di vendetta lungo le strade di Posillipo.