Non passano inosservate le impalcature a chi in questi giorni attraversa piazza Giuseppe Di Vittorio. È partito, infatti, alla fine di agosto l’intervento di restauro degli otto storici obelischi in piperno che circondano quella che è meglio nota come piazza Capodichino. Eretti nella prima metà dell’Ottocento per dare carattere monumentale alla barriera daziana, qui voluta da re I di Borbone con la costruzione del cosiddetto “muro finanziere” nel 1824 (cinta muraria cittadina lunga undici miglia finalizzata a contrastare il contrabbando), si trovano all’imbocco delle quattro strade che sfociano nella rotonda su cui affaccia il vecchio ingresso dell’aeroporto: corso Secondigliano, via Francesco De Pinedo, viale Comandante Umberto Maddalena e calata Capodichino. Il restyling riguarda anche un nono obelisco in bianco travertino al centro della piazza, più alto degli altri, innalzato invece nel 1952 per ricordare i caduti, militari e civili, oltre ai dispersi di Secondigliano nella seconda guerra mondiale, i cui nomi sono elencati ai lati del monumento. Cippo commemorativo sorto al posto di un edificio circolare (sede per l’appunto della dogana borbonica demolita nel 1927 durante i lavori per il posizionamento delle rotaie delle tranvie) e sormontato dalla stella della Repubblica italiana. Il simbolo a cinque punte, precipitato al suolo una ventina di anni fa, solo di recente è stato ricollocato in alto dai vigili del fuoco grazie all’interessamento di un’associazione del posto.
La ristrutturazione di piazza Capodichino
L’intera ristrutturazione fa parte del lotto 6 del progetto di tutela del patrimonio storico-artistico cittadino “Monumentando” che si fonda sul finanziamento di privati per provvedere al restauro di 27 monumenti per complessivi 3 milioni e mezzo di euro. Circa 177mila euro serviranno per rifare il look agli obelischi nell’arco di 120 giorni: si legge sulla scheda tecnica. Intanto i ponteggi hanno impacchettato la piazza senza però togliere fascino alla sua storia che l’ha vista prima vasto campo militare per le manovre e le esercitazioni delle truppe francesi, il Campo di Marte costruito nel 1808 da Gioacchino Murat, poi porta settentrionale d’accesso alla città di Napoli, secolarmente di collegamento con le province di Terra di Lavoro, infine odierno crocevia di tre quartieri, cioè Secondigliano, San Pietro a Patierno e San Carlo all’Arena.
Adesso i lavori prevedono il restauro conservativo del materiale lapideo degli obelischi attraverso la pulitura da incrostazioni, il consolidamento delle superfici, la stuccatura di lesioni e fessurazioni con eventuale integrazione plastica dove occorre. Eppure qualche anno fa si fece strada l’ipotesi di una loro totale demolizione, insieme all’ex scuola Ludovico Ariosto sul lato sud-ovest della piazza, che oggi ospita gli uffici della polizia municipale, per far spazio ad un cavalcavia di congiunzione con la perimetrale di Scampia, poi realizzato ma in posizione marginale. La protesta degli abitanti scongiurò lo scempio. In una piazza dove re Ferdinando II di Borbone fece costruire la chiesa dell’Immacolata Concezione dopo essere scampato ad un attentato l’8 dicembre del 1856, mentre passava in rassegna le truppe del Campo di Marte. Oggi e ieri la piazza resta pietra viva del racconto di Napoli, a testimoniare quanto i confini siano fine ma anche inizio di storie nella Storia.