Poesie in cella, divise come prigionieri: viaggio nell’ex Ospedale Psichiatrico di Napoli
Sui muri, ci sono le poesie di lucida disperazione. «Mamma come faccio a diventare amico di un insetto?». Li chiamavano pazzi, li internavano in un Opg, un acronimo che sta per Ospedale psichiatrico giudiziario ma che nulla era se non un manicomio. Divise uguali, «da lager» dice oggi chi ha occupato quel posto, in terra ancora quintali di scartoffie burocratiche che oggi sono carta tagliente di un passato recentissimo e non sanato. Il percorso degli Opg, la vicenda dell'Opg di Napoli, del quartiere Marterdei è ancora tutta da storicizzare. Chiuso nel 2008, l'Ospedale psichiatrico giudiziario è un immobile pieno di fantasmi e ricordi dolorosi e straripante disperazione e degrado. Oggi la struttura, di proprietà del ministero di Giustizia, è stata occupata dal collettivo studentesco CAU. Fanpage.it nel suo viaggio ha mostrato le condizioni dell'enorme immobile che ospitava decine di malati psichici definiti "socialmente pericolosi". I segni del tempo e della mancata manutenzione sono evidenti ad ogni angolo. Ma ancor più sinistri, sono i segni di quello che subivano i pazienti qui ricoverati: celle di pochi metri quadrati, chiuse da pesanti doppie porte blindate, letti di contenzione saldati al pavimento, sbarre ad ogni corridoio, pile di squallide divise uniformi marroni e scarpe accatastate come in un campo ‘di lavoro' di quelli tristemente noti nella storia del Novecento.
Il collettivo "Je So Pazz" ha avviato la riqualificazione dello stabile per attività sociali e social housing, nello stesso tempo sta attivamente denunciando le condizioni in cui sono costretti i reclusi degli Opg. Gli ospedali psichiatrici giudiziari, infatti, dovranno essere chiusi entro il 31 marzo di quest'anno -ma tutte le regioni sono in ritardo di anni sulla costruzione delle residenze alternative in cui alloggiare i malati.