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Crollo ponte Morandi a Genova

Ponte Morandi, il papà di Giovanni Battiloro un anno dopo morte: “Vogliamo solo la verità”

A un anno dal crollo del ponte Morandi, a Genova, che costò la vita a 43 persone, parla il papà di Giovanni Battiloro, videomaker 29enne morto su quel viadotto autostradale insieme ai tre amici Antonio Stanzione, Matteo Bertonati e Gerardo Esposito. «Vogliamo apere perché in uno Stato, un ragazzo che va in vacanza deve morire su un ponte che crolla», spiega Roberto Battiloro.
A cura di Gaia Martignetti
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Giovanni Battiloro, una delle vittime del crollo del Ponte Morandi a Genova.
Giovanni Battiloro, una delle vittime del crollo del Ponte Morandi a Genova.
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Giovanni Battiloro ha 29 anni e il sogno di continuare a fare il videomaker per tutta la vita, mentre percorre il ponte Morandi con i suoi amici. Dopo l'ennesimo anno da freelance, termine inglese ed elegante per indicare un lavoratore precario, ha deciso di partire il 14 agosto per andare a Nizza, dove uno dei tre ragazzi che viaggia in auto con lui ha casa. Poi, dopo un paio di giorni sarebbero ripartiti, destinazione Barcellona, che Giovanni conosceva bene. Nella Capitale catalana si era trasferito per lavorare nel settore della ristorazione, per inserirsi e imparare la lingua, senza mai dimenticare che i suoi sogni avevano una forma ben precisa: quella di una telecamera. Per questo aveva mandato curriculum ovunque, anche dove sperava e sognava un giorno di poter lavorare: Barça Tv, la televisione ufficiale del Barcellona di Messi e Coutinho.

Poi era tornato in Italia, da freelance. Troppo forte il richiamo della sua terra e del Vesuvio. Insieme alla speranza di poter lavorare dov'è nato e cresciuto. Ed è alle pendici del vulcano che suo figlio ha sempre difeso che incontriamo Roberto Battiloro. Nei suoi occhi è ancora vivo il ricordo di quel 14 agosto 2018, giorno in cui alle 11:36, crolla il ponte Morandi, a Genova. Moriranno 43 persone. Tra queste, suo figlio Giovanni e gli amici Matteo Bertonati, Antonio Stanzione e Gerardo Esposito. «In cuor mio ho avuto paura subito, alle 12, quando ho saputo del crollo dal primo notiziario». Trattiene a stento le lacrime, dietro di lui ci sono due foto di Giovanni «un giovane che andava in vacanza con 3 amici. Era un videomaker giornalista, faceva questo lavoro da quando era piccolo».

Gerardo Esposito, Giovanni Battiloro, Antonio Stanzione, Matteo Bertonati
Gerardo Esposito, Giovanni Battiloro, Antonio Stanzione, Matteo Bertonati

I corpi dei quattro ragazzi, tutti originari della città corallina, verranno recuperati per ultimi. Roberto parte per Genova immediatamente, per "l'atto più brutto": riconoscere suo figlio. Ricorda quei momenti e la scelta di non partecipare ai funerali di Stato, il 18 agosto 2018, ma di di celebrarli il 17, il giorno prima, a Torre del Greco, «per tante ragioni. In primis, spiega Roberto Battiloro, perché avevamo la famiglia che avrebbe partecipato con zii, nonne, le persone anziane che non sarebbero mai potute venire a Genova. E anche perché non avevamo voglia di vedere nessun politico e nessuna passerella che potesse neanche minimamente alleviare la rabbia e il dolore che avevamo». Ecco perché da un anno si batte per veder riconosciute verità e giustizia per la morte di un giovane di 29 anni. E sempre per lo stesso motivo ci racconta di «aver depositato una perizia di parte della famiglia Battiloro. Con il nostro ingegnere Giovanni Sorrentino, insieme ai nostri due avvocati per poter avere almeno in dibattimento una voce, una possibilità di dire la nostra sul perché è caduto questo ponte, sul perché è crollato». Neanche la verità potrà restituirgli Giovanni, questo è ovvio e scontato. Ma a un anno di distanza da una tragedia che il Cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, che officiò i funerali 17 agosto, definì nella sua omelia come “violenza consumata non dal destino ma dalla mano dell’uomo, che si sostituisce alla mano di Dio per i propri interessi personali”, non si può dimenticare. «Non è la nostra un'ossessione inutile o uno stimolo per andare avanti per la vita», spiega Roberto Battiloro, che aggiunge «è una richiesta di giusta causa, sapere perché in uno Stato, un ragazzo che va in vacanza deve morire su un ponte che crolla».

Prima di andare via racconta di come Giovanni avesse le idee chiare sul suo futuro, sempre con una macchina da presa sulle spalle. E inevitabilmente il pensiero corre alla prima volta che gli occhi di suo figlio decisero di osservare il mondo attraverso un obiettivo: a 16 anni, quando lavorava come assistente, per imparare. Suo padre, giornalista Rai, insieme alla sua collega Cecilia Donadio, fece un telegiornale itinerante. Le prime immagini della carriera di Giovanni sono girate con una betacam analogica e raccontano il concerto di Eduardo De Crescenzo. Andranno in onda sul Tg1. «Mi disse, ma com'è possibile? Io ho girato ma non immaginavo che andassero al Tg1». Uno dei ricordi che Roberto Battiloro ci affida prima di salutarci. Per evitare che suo figlio resti un numero, tra le 43 vittime che attendono ancora giustizia.

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