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Progetti vecchi e risorse europee: è il piano dei “buoni propositi” di Renzi e De Luca

L’obiettivo è chiaro: scongiurare il pericolo di perdere i fondi europei, velocizzare gli iter burocratici, tenere traccia delle risorse impiegate e monitorare le opere pubbliche grazie alla cabina di regia. La propaganda sui “nuovi fondi” e sul nuovo modello di sviluppo per il Sud, invece, non ha proprio senso. Tra progetti e opere strategiche, studi di fattibilità, completamenti parziali e solite mancette, ecco cosa c’è nel Patto per il Sud di Renzi e De Luca.
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Domenica 24 aprile Matteo Renzi e Vincenzo De Luca hanno firmato in Prefettura a Napoli il “Patto per la Campania”. Si tratta del primo accordo previsto dal Masterplan per il Mezzogiorno, il “piano strategico” per il Sud la cui attuazione doveva partire dal primo gennaio del 2016. Tempistica a parte, la scelta del Governo di tenere a battesimo il masterplan in Campania assume un elevato valore simbolico, sia per la portata degli interventi che per la concomitanza con l’apertura della campagna elettorale nelle città di Napoli e Salerno (oltre che di Benevento e Caserta). Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio De Vincenti ha riassunto i contenuti del piano, anticipando che nelle prossime settimane verranno siglati gli accordi con le altre Regioni interessate: “Il Patto per la Campania prevede interventi concreti per 9,5 miliardi, di cui 2,780 miliardi messi a disposizione dal Governo sul Fondo Sviluppo e Coesione e gli altri su ulteriori risorse nazionali, oltre che dai programmi operativi della Regione Campania”.

La riflessione “politica” che sostiene il piano doveva essere legata alla revisione delle politiche di intervento per il Mezzogiorno, ritenuto ancora “un grande potenziale per il rilancio dell’economia e per la crescita del Paese": da qui la necessità di agire per "ridurre il divario tra il Meridione e le Regioni del Centro Nord", tramite un processo di rilancio economico, produttivo e occupazionale. A conti fatti, invece, non c'è quella riflessione sul modello di sviluppo e sulle politiche per il Mezzogiorno che pure sembrava essere alla base del progetto renziano, né un ripensamento della "politica dell'emergenza legata alla straordinarietà degli interventi"; invece (e non è cosa da poco) c'è la creazione di un meccanismo di accountability e un percorso di razionalizzazione degli strumenti attraverso cui spendere le risorse.

De Luca, nella diretta Facebook con Matteo Renzi, ha parlato così di "investimento politico del Governo nel Sud", quasi a ribadire un mutamento di attenzione, una "presa d'atto del fatto che quando passano gli anni e non concludi niente", allora il Governo deve intervenire.

Cosa c'è nel piano per la Campania del Governo Renzi

La base di partenza del patto è rappresentata dal Documento Economico e Finanziario 2015 della Regione Campania, nel quale sono indicati gli interventi prioritari in materia di “sviluppo della mobilità regionale, sviluppo economico, produttivo ed occupazionale, sostenibilità ambientale, valorizzazione turistica e culturale, rafforzamento del sistema universitario e scolastico, sicurezza e cultura della legalità”. Accanto a tali ambiti trovano posto misure in materia di gestione dei rifiuti, contro il rischio idrogeologico e di miglioramento delle reti stradali. Ne nasce un patto con 6 linee di sviluppo: infrastrutture, ambiente, settori produttivi, scuola, turismo e sicurezza. La previsione complessiva di spesa è di 9,5 miliardi di euro, così ripartita:

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Ma per fare cosa? Quali sono gli interventi del patto? Regione e Governo hanno diffuso la tabella ufficiosa degli interventi: 93 progetti totali, di cui 16 studi di fattibilità (o progettazione preliminare), 41 avvii di intervento, 9 aperture di cantiere, 27 completamenti (parziali o definitivi) di interventi già aperti.

Tra le voci in elenco nel settore infrastrutturale, ce ne sono alcune che meritano particolare considerazione, anche per il loro impatto economico. C’è l’avvio dell’intervento per la tratta Centro Direzionale / Capodichino (già finanziato con circa 600 milioni di euro), il completamento della Metropolitana di Napoli linea 6 (Mostra – Municipio), lo studio di fattibilità per la stazione Alta Velocità di Fragola, il completamento parziale dei lavori per l’alta capacità della ferrovia Napoli – Bari e dell’asse Nord / Sud Tirrenico Adriatico (circa 320 milioni già finanziati), il completamento dei lavori per la viabilità intorno al Nuovo Ospedale della Zona Orientale. Gran parte di questi interventi è già stata finanziata, come verificabile qui.

Un po' diversa la situazione del comparto "ambiente". Se si escludono rifiuti ed ecoballe (trattamento e smaltimento), con 450 milioni di euro già finanziati e disponibili (150 col decreto Terra dei Fuochi, 300 con la legge di stabilità 2016), per la quasi totalità dei progetti in cantiere serviranno nuove fonti di finanziamento. Risorse che saranno messe a disposizione da Fondi europei (POR 2014 / 2020) o dal già citato FSC.

Per il piano Regionale di Bonifica, che comprende Isochimica e Terra dei Fuochi, serviranno 250 milioni, interamente a carico del Fondo per la Coesione 2014 – 2020 (attenzione, perché tali risorse serviranno solo all’avvio e al completamento parziale degli interventi). Stessa cifra servirà per gli impianti di trattamento dell’umido e dei rifiuti speciali, nonché per la depurazione e servizio idrico integrato in un gruppo di Comuni individuato dal piano regionale, mentre 150 milioni di euro si prevedono per il dissesto idrogeologico e complessivi 650 milioni europei (Por Campania) saranno destinati a 6 Grandi Progetti: Regi Lagni, Golfo di Salerno, Fiume Sarno, Risanamento Campi Flegrei, Litorale Domizio e corpi idrici aree interne.

Per quel che concerne lo “Sviluppo Economico e Produttivo”, il piano necessita in particolare di finanziamenti europei. Si comincia dal credito d’imposta di 500 milioni (che sarà finanziato con fondi europei, POR e FSC); si passa per i “finanziamenti agevolati” per aziende e privati colpiti dall’alluvione nel beneventano (restano stanziati i 2 milioni di euro della Regione, cui si prevede di aggiungerne altri 30 dal FSC); c’è poi l’implementazione dei contratti di sviluppo, affidata a Invitalia (che avrà un ruolo rilevantissimo, come vedremo più avanti), che vale 300 milioni, di cui 280 ancora da reperire; ci sono i 5 “poli” (agroalimentare, moda, aerospaziale, musei e archivi d’impresa, autotrasporto), il cui avvio è da finanziare per oltre 1,5  miliardi di euro; c’è anche la riqualificazione dell’ex area Nato di Bagnoli in cui troveranno posto strutture per le Universiadi (PON e FSC).

Il programma complementare regionale e il piano operativo regionale 2014 – 2020, invece, finanzieranno interamente gli interventi nel settore Scuola, Università e Lavoro (eccettuando gli 85 milioni di euro già destinati dal Governo all’edilizia scolastica): ci sono soldi per la Federico II (25 milioni), L’Orientale (5 milioni), la SUN (10 milioni), l’Università del Sannio (5 milioni) e quella di Salerno (4 milioni), e ovviamente anche l’immancabile quota per l’Università Suor Orsola Benincasa (“beffata” in sede di emendamenti alla legge di stabilità e qui “risarcita” con 2 milioni di euro). Dal POR 2014 – 2020 arriveranno anche i soldi per le borse di studio e 36 milioni di euro per rifinanziare Garanzia Giovani.

Per quanto riguarda il settore Turismo e Cultura si ricordano gli impegni del CIPE per Pompei e Rione Terra e su prevede di dirottare una quota consistente di risorse FSC e PON su progetti specifici (Unesco, Universiadi, metanizzazione del Cilento ecc.).

Piuttosto singolari, infine, sono le voci di spesa per Sicurezza e Cultura della Legalità: 14 milioni di euro per l’efficientamento energetico della Caserma Caretto e 2 milioni di euro per uno studio di fattibilità che riguarda la Prefettura di Avellino.

Quanti soldi ci sono, da dove arrivano e chi li gestirà

Il piano vale 9,56 miliardi di euro. Disponibili, o meglio già assegnati, sono 2,55 miliardi di euro: si tratta di fondi stanziati con precedenti programmazioni (POR e PON del periodo 2007 – 2013, ecc.) o con specifici provvedimenti di legge (stabilità 2016, ad esempio).

Altri 2,8 miliardi di euro dovrebbero arrivare dalle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione 2014 – 2020. Ma di cosa si tratta? Il FSC è lo strumento finanziario con il quale la Ue attua “le politiche di sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali”. Tecnicamente nasce dal FAS, il fondo per le aree sottoutilizzate, ed è gestito direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (cui fa riferimento il Dipartimento per le politiche di coesione). Il Fondo, che ha carattere pluriennale, è finalizzato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale; vale la pena di ricordare che le funzioni di coordinamento, di programmazione e monitoraggio sono sempre affidate al CIPE.

L’ammontare del FSC per il 2014 – 2020 è di 54.810 milioni di euro, di cui l’80% (44 miliardi, circa) destinato al Mezzogiorno: le risorse possono essere sbloccate dal CIPE e assegnate direttamente anche “come anticipazione della programmazione complessiva”, così come possono essere ripartite o rimodulate su proposta dell’Autorità politica.

Le risorse del FSC sono però “scaglionate” nel tempo e fino al 2017 a disposizione per la Campania non vi è l’intero ammontare “necessario e previsto” (2,8 miliardi), ma solo 511 milioni di euro, che sono quelli che la Regione si è impegnata a spendere nei primi due anni.

La comunicazione del Governo parla poi di “altre risorse disponibili”, facendo riferimento in particolare alla programmazione operativa regionale (POR) e a quella Nazionale (PON): si tratta di fondi strutturali finanziati dall’Unione Europea, mirati a progetti specifici, disciplinati da una ferrea normativa per quanto concerne finanziamenti, tempistiche eccetera.

La novità principale dell’intero piano per il Sud, dunque non consiste nelle risorse, considerando che si tratta di soldi in qualche modo già “potenzialmente disponibili”, fatta salva una quota residuale di assegnazioni effettuate da questo esecutivo (con la legge di stabilità, ad esempio). Né consiste nella tipologia di progetti o lavori, dal momento che la gran parte degli interventi strategici era già compresa nella piattaforma progettuale territoriale. Nè, infine, consiste nella possibilità di definanziare quei lavori che abbiano accumulato un ritardo eccessivo.

Il fulcro del piano per la Campania è riassumibile in due parole: pianificazione strategica.

Renzi e De Luca concordano nell’affidarsi all’Agenzia della Coesione Territoriale per il monitoraggio sistematico e continuo degli interventi realizzati, in modo da non “perdere i fondi” e avere sempre chiaro lo stato di avanzamento dei singoli progetti.

Ma soprattutto hanno deciso di affidarsi a Invitalia quale soggetto attuatore del piano. Non è cosa di poco contoSe l’Agenzia resta responsabile del coordinamento e della vigilanza sul Patto (anche tramite un Comitato di indirizzo e controllo), è il soggetto attuatore a detenere poteri formali e sostanziali, gestendo anche la gran parte delle risorse e avendo acceso a tutti i dati, alle informazioni e ai documenti acquisiti nel sistema di monitoraggio.

L’agenzia fornisce già “supporto” ad alcune amministrazioni per la gestione dei fondi comunitari e nazionali, soprattutto in Sicilia e Calabria. Fino al primo gennaio 2016 gestiva complessivamente risorse per circa 4 miliardi di euro, ora potrebbe ritrovarsi a essere soggetto attuatore e centrale di committenza del complesso dei fondi europei destinati alla Campania (a meno che la Regione non si affidi a soggetti diversi).

E quindi?

Per punti:

1- La ratio dietro tali scelte è quella ripetuta come un mantra da mesi: scongiurare il pericolo di perdere i fondi europei, velocizzare gli iter burocratici, tenere traccia delle risorse impiegate e monitorare le opere pubbliche grazie alla cabina di regia. Tesi che ha senso, ma che sarà necessario verificare nel corso del tempo.

2 – La propaganda sui "nuovi fondi" e sui "nuovi progetti", invece, non ha molto senso, considerando che si tratta di risorse "già potenzialmente disponibili" e di progetti vecchi o ancora tutti da valutare nella loro fattibilità.

3 – La riflessione su un nuovo modello di sviluppo e su una "nuova" strategia per colmare il divario Nord – Sud semplicemente non c'è. Gli strumenti sono gli stessi di sempre (se si eccettua appunto la centralizzazione e l'accountability) e non si capisce in che modo si superi "la logica piagnona e lamentosa di certo meridionalismo d'accatto" ripercorrendo un modello vecchio e già sperimentato.

4 – Sull'utilizzo dei fondi europei in questo modo (opere pubbliche, sostanzialmente), restano ancora molte perplessità: qui Ciani e De Blasio notavano come diverse analisi mostrassero che "l'impatto medio dei fondi su tutte e tre le variabili è molto vicino allo zero. Risultati simili si ottengono mettendo in relazione il tasso di crescita medio e i pagamenti pro-capite cumulati per l’intero periodo. Insomma, anche tenendo conto delle diverse intensità con cui i singoli territori hanno subito le conseguenze della crisi, non sembra che una maggior spesa relativa ai fondi strutturali abbia determinato conseguenze apprezzabili".

5 – La vera partita si giocherà sull'accountability, sulla trasparenza gestionale (il ruolo dei soggetti attuatori e dell'autorità politica resta fondamentale) e sul rispetto delle tempistiche. I precedenti non sono incoraggianti, per la verità. Ma non vorremmo passare per gufi…

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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