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Raffaele La Capria compie 95 anni: l’ultimo testimone di una Napoli che poteva avere tutto

Il grande scrittore è nato a Napoli il 3 ottobre del 1922. Nel 1961, il suo romanzo “Ferito a morte” ha vinto il Premio Strega, mentre nel 2001 gli è stato assegnato il Premio Campiello alla carriera. La Capria è l’ultimo testimone di una Napoli – quella del secondo dopoguerra – in cui tutto poteva accadere e in cui tutto poteva cambiare.
A cura di Valerio Papadia
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Ai funerali di Ermanno Rea, morto nel settembre del 2016, Giorgio Napolitano dichiarò: "Siamo rimasti solo io e Dudù". Dudù, così come lo chiamano gli amici, è Raffaele La Capria, scrittore, saggista, poeta e sceneggiatore, che oggi compie 95 anni. La Capria, infatti, è nato a Napoli il 3 ottobre del 1922: laureato in Giurisprudenza alla Federico II, nel 1950 lasciò la città natale per trasferirsi a Roma. Nel 1961, il suo romano "Ferito a morte", ritratto della Napoli del secondo dopoguerra che il protagonista, così come lo scrittore, sta per lasciare, riuscendo a tratteggiare, in maniera lucida, tutti i suoi pregi ma anche i suoi difetti, vinse il Premio Strega.

La Napoli di La Capria in cui tutto, perfino il cambiamento, sembrava possibile

Ripartiamo dall'inizio. Quando l'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alle esequie di Ermanno Rea, pronuncia quella frase, che sa di nostalgia, si riferisce proprio agli anni del secondo dopoguerra, quando Napoli avrebbe potuto avere tutto, avrebbe potuto cambiare ed evolversi, salvo poi rimanere immutata, la città che cambia mille volti ma che in realtà non cambia mai. È la Napoli del fermento culturale e politico, che vanno di pari passo: gli intellettuali di sinistra cercano di andare avanti e buttarsi alle spalle gli orrori del fascismo e del nazismo. È la Napoli di Renato Caccioppoli, Renzo Lapiccirella, Domenico ed Ermanno Rea, Luigi Incoronato, la Napoli delle "giacchette grigie di Monte di Dio", capitanate da Prunas, di cui fa parte anche lo stesso La Capria, che con la rivista letteraria "Sud" esportano cultura in tutto il Paese.

È la Napoli, poi, dell'illusione e, di conseguenza, della disillusione. La cultura, come detto di pari passo alla politica, viene affossata da quest'ultima, come spesso succede. Il Pci, in Italia il più grande, secondo solo a quello dell'Urss, smette di essere fonte di ispirazione, mira all'omologazione piuttosto che alla rivoluzione, intesa come innovazione e cambiamento. Sono gli anni in cui Ermanno Rea si chiede "Se avessi un miliardo di miliardi, la compreresti Napoli?" e i cenni di assenso si fanno sempre di meno. Sono gli anni in cui La Capria abbandona la città e ci regala "Ferito a morte", istantanea perfetta di quello che sarebbe potuto essere e non è stato.

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Sono giornalista dal 2010. A Fanpage.it dall'agosto del 2016, scrivo per l'area Napoli, per la quale mi occupo del desk.
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