Nella notte a Napoli è comparso uno striscione: «Rifugiati benvenuti, questa è casa vostra». È vero. Napoli è stata ed è oggi la casa di tanti. È «terra c'ammesca ‘a vita e se ne va», terra mischiata alla vita che va via come cantava Pino Daniele. Non mi stupisce che poche ore dopo l'arrivo dei migranti in città il centro d'accoglienza si sia riempito di abiti e generi di conforto. Nella memoria collettiva trasmessa dai nostri genitori, dai nostri nonni, ci sono ospitalità e fuga, c'è l'addensarsi di popoli e il partire a cercar fortuna lontano da casa. L'emigrante e l'immigrato a Napoli fanno parte della famiglia di chi tene ‘o mare e porta una croce. Arrivando e partendo, siamo uguali.
Dunque benvenuti, da qualsiasi parte del mondo arriviate. Siete in una città piena di problemi ma non per questo rassegnata, in una città piena di contraddizioni ma non per questo convinta che sia meglio il piattume. La strada meno battuta di Robert Frost qui si stringe e diventa ‘o vico. E a noi piace il «vicolo storto» come quello della poesia di Eduardo a Maurizio Valenzi: è più difficile da percorrere, ma c'è «cchiù sfizio».
«Siediti, dove mangiano tre mangiano pure quattro» è la frase che le nostre nonne e le nostre madri hanno pronunciato decine di volte, rivolte ad amici e parenti e anche a persone appena conosciute. Il desco nella giornata partenopea non è una modalità, è una mentalità. E mi piace pensare che oggi, nei giorni in cui a sedersi a tavola sono persone arrivate a fatica e non senza rischi da molto lontano, l'adagio dei nostri antenati risuoni ancora nelle case napoletane moderne: Siediti. Dove mangiamo noi mangi anche tu.