Saviano non diffamò Cosentino: il tribunale rigetta la richiesta di danni dell’ex parlamentare
Il giudice della prima sezione civile del tribunale di Roma, Cecilia Pratesi, ha respinto la richiesta di risarcimento danni avanzata dall'ex parlamentare Nicola Cosentino nei confronti di Roberto Saviano e di Ezio Mauro, ex direttore del quotidiano "La Repubblica". Cosentino aveva presentato richiesta nel 2012 sentendosi diffamato da un articolo pubblicato dallo scrittore all’interno della rubrica "R2 – Il documento" di Repubblica, apparso il 27 aprile 2012.
In quell'articolo lo scrittore riprendeva alcuni passaggi di una lettera inviata circa 20 giorni prima a Michele Zagaria, boss del clan camorristico dei Casalesi finito in carcere dopo anni di latitanza, dal nipote. Secondo Saviano la missiva era scritta in un linguaggio in codice, di cui l’autore di Gomorra aveva proposto una possibile interpretazione.
Cosentino, da quanto sui legge nel dispositivo della sentenza, si sarebbe sentito accusato "di essere un politico legato alla malavita organizzata" e "di tutelare in Parlamento gli interessi dei Casalesi, dando loro protezione ed evitando che vengano approvati copioni sbagliati, ossia leggi in grado di ostacolare gli affari della camorra".
Il passaggio della lettera incriminato
Il riferimento è in particolare a questo passaggio della lettera del nipote di Zagaria: "Anche zio Nicola dal suo loggione ha molto apprezzato e preso nota di tutto quanto ha sentito. Per le prove ha assicurato che anche in futuro ascolterà solo la norma fino a quando si abbassa il sipario e gli orchestrali si alzano in piedi. Da intenditore dice che certi copioni sbagliati rimarranno a marcire nei cassetti. Sarà sempre con noi fino al giudizio finale del pubblico perché ama la nostra terra e chi vuole riscattarla. Ci ha detto che vorrebbe comprare una pelliccia nuova alla sua signora e penso che contribuiremo come in passato, lasciamo giudicare a lui che ha esperienza".
Secondo quanto aveva scritto Roberto Saviano nel suo articolo l'interpretazione sarebbe stata la seguente: "Il loggione è il Parlamento; il sipario che si abbassa è un riferimento alla fine della legislatura, quando tutti i parlamentari, ossia gli orchestrali, si alzano in piedi. E a "cantare bene" è anche chi non conosce il copione, quindi anche i politici avvicinati e non legati all'organizzazione. Il riferimento a zio Nicola nel suo loggione qui si fa più esplicito. Quindi il politico zio Nicola (che potrebbe essere Cosentino sempre che le accuse dell'antimafia fossero confermate), in questo caso, garantirebbe la continuità fino al termine di questa legislatura. Da intenditore dice che "certi copioni sbagliati rimarranno a marcire nei cassetti". Anche qui sarebbe – se l’interpretazione è corretta – una rassicurazione che non ci saranno leggi che danneggeranno gli affari".
Il giudice Pratesi nella sentenza ha ricordato che "all’epoca della pubblicazione dell’articolo Nicola Cosentino era stato coinvolto in diversi procedimenti penali". "Le vicende giudiziarie e politiche appena tratteggiate consentono di escludere che nei riguardi dell’articolo qui in contestazione possa essere formulata la minima accusa di arbitrarietà o di cattivo esercizio del diritto – dovere di informazione proprio del giornalista – spiega quindi il magistrato, che sottolinea come Saviano abbia proposto – al pubblico una chiave interpretativa del linguaggio utilizzato dalla Camorra, e senza alcuna ambiguità, lascia chiaramente intendere che si sta cimentando in una ricostruzione ipotetica, tanto nell’opera di decifrazione della simbologia adottata nello scritto analizzato, quanto nella identificazione del personaggio dello ‘zio Nicola' che nella lettera è menzionato, di cui si dice che ‘potrebbe essere Cosentino, sempre che le accuse dell’antimafia fossero confermate'. La tesi di Saviano è dunque esposta "in formula ampiamente dubitativa, ed accompagnata dalla chiara precisazione che le accuse al momento formulate nei riguardi del parlamentare non avevano trovato conferma definitiva".
L'articolo "lecita espressione del diritto di manifestazione del pensiero"
Da qui le conclusioni del giudice monocratico: "La pubblicazione contestata deve in conclusione ritenersi lecita espressione del diritto di manifestazione del pensiero, ed in particolare del cosiddetto giornalismo di inchiesta, forma espressiva con cui, attraverso la propria attività di studio e di indagine, l’autore ha proposto al lettore ipotesi ricostruttive attinenti a vicende di assoluta rilevanza sul piano del pubblico interesse, senza peraltro mai fuoriuscire dai limiti di una forma espressiva contenuta né scadere nell’invettiva, nel dileggio o nell’insulto".
Oltre a vedersi respingere la richiesta di risarcimento danni, Cosentino dovrà adesso pagare le spese per le pratiche legali a Saviano e a Ezio Mauro (e con lui al gruppo editoriale L'Espresso): 11.472 euro nel primo caso e 18.469 nel secondo .