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Dialetti d'Italia

“Si nu Mamozio”: perché nel dialetto napoletano si dice così? Colpa di un politico dell’antica Roma

Mamozio è un “personaggio” tipico del dialetto napoletano, e non solo per merito del celeberrimo film di Totò “Il monaco di Monza”. Si tratta di un modo di dire, e di insultare qualcuno, molto più antico di quello che si pensa: la sua origine è legata a quella di un politico dell’antica Roma, e alla città di Pozzuoli. Ma il suo uso nel dialetto è dovuto ad un curioso “scambio di persona”.
A cura di Federica D'Alfonso
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La piazza di Pozzuoli con il famoso "Mamozio". Illustrazione tratta da "L'album, giornale letterario e di belle arti", del febbraio 1837.
La piazza di Pozzuoli con il famoso "Mamozio". Illustrazione tratta da "L'album, giornale letterario e di belle arti", del febbraio 1837.
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Sciocco, credulone e anche un po’ goffo: il Mamozio nel dialetto napoletano ha un’accezione non del tutto spregiativa, ma quantomeno canzonatoria e derisoria. La persona che viene definita in questo modo appare agli occhi dei suoi interlocutori ridicola, e inadatta alla situazione: a volte, nel gergo colloquiale, si può definire “mamozio” anche un oggetto inutile, curiosamente fuori posto. La storia di questo curioso modo di dire è legata a quella dell’antica Pozzuoli, e ad un simpatico “scambio di persona” che è ormai da molto tempo entrato nel vocabolario del dialetto napoletano.

Il Mamozio: un “personaggio” nato a Pozzuoli

“Nun vulimmo a ‘nu mamozio ca nun tene autorità”: persino nella supplica a San Gennaro i napoletani ci tengono ad incitarlo a non essere un oggetto inutile (riferendosi probabilmente alla sua statua) e a palesare la sua protezione attraverso il miracolo della liquefazione del sangue. La cosa curiosa è che, nonostante sia ormai un termine corrente nel dialetto della città, questo modo di dire non nasce a Napoli, ma nella vicina Pozzuoli: ed è strettamente legato alla storia di questa città.

Una storia che inizia nel XVIII secolo, durante i lavori di costruzione della chiesa di San Giuseppe: dagli scavi emerge una statua acefala, che verrà successivamente identificata con quella del politico romano Lolliano Mavorzio. Essendo per l’appunto senza testa, le autorità pensarono bene di fornirgliene una nuova: peccato che questa fosse decisamente molto più piccola del corpo, risultando stranamente buffa e fuori posto su un corpo così grande. Il povero console venne preso in giro per anni per la sua “faccia da ebete”, come raccontano gli storici, ma il popolo si affezionò talmente tanto a lui da farlo entrare nelle loro preghiere quotidiane.

Lo scambio di persona e le calamità naturali

Cosa c’entra però un politico dell’età imperiale con le preghiere? Nel caso di “Mamozio”, storpiatura dialettale del buffo Mavorzio, tutto: la statua era stata collocata nella piazza del mercato, e molti fruttivendoli gli si rivolgevano per chiedere che le vendite andassero bene e che gli affari fossero proficui. Ma “Santo Mamozio”, come veniva chiamato, non era solo: in sua compagnia, nella stessa piazza, c’era la statua di un vescovo spagnolo, León Cárdenas. Quando dopo l’ennesimo atto vandalico la statua del vero Mamozio venne rimossa i puteolani continuarono a rivolgere al prelato le loro preghiere, chiamandolo con lo stesso appellativo.

Mamozio era talmente ben voluto dal popolo, che sulla sua figura si moltiplicarono le leggende: come quella che voleva che spostare la statua avrebbe comportato calamità naturali e disastri. Un’eventualità che, secondo le cronache, si verificò più di una volta: i cittadini notarono che quando la statua del vescovo veniva spostata, in quel preciso momento accadeva qualcosa di brutto. Quella di Mamozio, sia di quello vero che del suo alter ego, è una storia affascinante, simbolo del fatto che anche essendo goffi e apparentemente ridicoli, si può essere benvoluti.

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