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Sigarette di contrabbando come la droga: il broker tratta sui mercati internazionali

La figura del broker – spiega a Fanpage.it il tenente colonnello Giuseppe Furciniti, comandante del Gico della Guardia di Finanza di Napoli – è ormai fondamentale per la malavita organizzata: una persona slegata alle cosche, capace però di fare da intermediario tra acquirente e compratore e di spostare tonnellate di droga, sigarette di contrabbando, armi. Da Roberto Pannunzi, che i soldi li contava con la bilancia, a Raffaele Imperiale, che aiutò gli Amato-Pagano a rifornire le piazze di spaccio di Scampia e Secondigliano: chi è il broker e quale è il suo ruolo.
A cura di Nico Falco
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Da Raffaele Imperiale e la sua latitanza dorata negli Emirati Arabi, a Roberto Pannunzi che i soldi non li contava, li pesava: i broker sono diventati negli anni una figura cruciale per la malavita organizzata, dal contrabbando di sigarette al traffico di droga. Pannunzi, romano di nascita ma cresciuto all'ombra delle cosche calabresi e legato alla ‘ndrina Macrì di Siderno, nel suo periodo d'oro era in grado di trattare da pari con il cartello di Medellin. Il “Pablo Escobar italiano” non era affiliato alla ‘ndrangheta ma grazie ai suoi contatti faceva da ponte per il sudamerica e spostava in Europa fino a due tonnellate di cocaina al mese. E i suoi rapporti coi narcos erano stati cementificati anche da un matrimonio: suo figlio Alessandro sposò la figlia di un grosso narcotrafficante colombiano. Lo arrestarono nel 2013 in Colombia, due anni dopo una rocambolesca fuga da una struttura sanitaria dove si era fatto ricoverare fingendo problemi al cuore.

Raffaele Imperiale, invece, era l'uomo di punta per il clan Amato-Pagato per i rifornimenti di droga e armi. Anche lui estraneo alla camorra, ma persona di fiducia in grado di spostare grossi quantitativi di stupefacenti e permettere al gruppo guidato da Lello Amato e Cesare Pagano di conquistare e mantenere le piazze di spaccio di Scampia. Imperiale, dopo una vita passata nell'ombra, divenne improvvisamente noto quando nella sua casa di Castellammare furono ritrovati due quadri di Van Gogh: erano in una cantina, vezzo narcisistico di un uomo che da anni assiste da lontano all'evolversi dei processi contro di lui nella latitanza dorata di Dubai.

“La figura del broker è ormai un cardine per questi traffici – spiega il tenente colonnello Giuseppe Furciniti, comandante del Gico della Guardia di Finanza di Napoli – sono intermediari che hanno consolidato rapporti sul posto e possono porsi come punto di riferimento per chi deve vendere e comprare. Conoscono più lingue, conoscono l'andamento dei prezzi e il mercato. Prendono una commissione sulla transazione, talvolta si fanno direttamente carico dell'acquisto e non è raro che si occupino anche della logistica. E sanno come muoversi per non farsi scoprire: usano diversi telefoni, svariate schede telefoniche e negli ultimi anni comunicano quasi esclusivamente tramite canali crittografati, via Internet”.

E anche per le cosche conviene affidarsi a un broker piuttosto che tenere, come era da tradizione, un uomo di fiducia dell'organizzazione stabilmente sul posto: un affiliato significa un canale aperto, un broker rappresenta invece una platea di interlocutori e strappare di volta in volta prezzi migliori. Vuol dire non perdere un uomo importante nel caso di una retata, non dover chiudere un canale e dover ricominciare da zero quando un cartello di narcos viene sopraffatto da un rivale. Pensa a tutto l'intermediario, che garantisce anche sulla qualità del prodotto fornendo i campioni di droga prima degli acquisti. Come un rappresentante con la merce, un assicuratore col suo ventaglio di proposte.

In ogni scambio, però, per quante precauzioni si possano prendere, c'è bisogno di un contatto. Ed è quello il punto debole del broker. Quando deve accreditarsi verso nuovi venditori, o incontrare altri clienti. Quando deve mettersi d'accordo, e anche il sistema più sicuro può rivelarsi inefficace. Come quando, anni fa, i narcotrafficanti parlavano attraverso le chat crittografate dei BlackBerry: non potevano saperlo, ma gli investigatori erano entrate in possesso della chiave di codifica e ogni sms scambiato era un passo in più verso le manette.

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