Torna a galla il porto dell’antica Parthenope: si lavora per disegnare la mappa dell’antica città greca
«Abbiamo individuato altre zone da ispezionare nei fondali di Castel dell’Ovo, sulla base di vecchi incartamenti ritrovati presso gli archivi della Soprintendenza e mai pubblicati. Si tratta di segnalazioni casuali fatte da terzi, dagli anni ’80 fino al 1995 circa, e che, ovviamente, vanno verificate». Le parole dell’archeologo Filippo Avilia indicano e spiegano la nuova traccia del percorso seguito dall’équipe che, da mesi, esplora le acque antistanti via Parthenope. Segnalazioni che sono notizie che contribuiscono alla valutazione delle potenziali aree d’interesse, da confermare poi attraverso la prospezione diretta. Si allarga, quindi, l’azione di monitoraggio della “spedizione” subacquea.
Intanto, ieri mattina a Palazzo Reale, è avvenuta la presentazione ufficiale del progetto Sea.Re.N, di cui Fanpage ha seguito in anteprima la genesi e anticipato il racconto delle prime tappe da novembre scorso, con l’esposizione dei dati sulle ultime scoperte sottomarine riguardanti fondazioni di origine terrestre che potrebbero essere quelle del primo porto greco di Napoli. Tagli nel banco di tufo, gallerie, forse un tracciato stradale, evidenze che il gruppo, coordinato e finanziato dall’università Iulm di Milano, sotto la guida di Louis Godart (già professore di Filologia Micenea presso la Federico II di Napoli e consigliere per la Conservazione del Patrimonio artistico della Presidenza della Repubblica), sta studiando in relazione ad un approdo dell’antica colonia di Palaepoli/Parthenope stanziata sulla sommità di Pizzofalcone, nel secolo che va dalla metà del VII alla metà del VI a.C.
«Adesso il progetto, nell’ottica di una preziosa collaborazione con la Soprintendenza – illustra Avilia -, prosegue in questa direzione, cioè con l’obiettivo di arrivare ad una mappatura completa del mare intorno Castel dell’Ovo, su entrambi i lati di quella che un tempo era una penisola. Insomma, una cartografia subacquea, con l’esame diacronico delle trasformazioni, che ad oggi non esiste». Nella penombra delle “sale pompeiane” di Palazzo Reale, ha destato emozione la proiezione del video girato sott’acqua dagli archeologi, intrufolandosi nelle correnti sabbiose dell’antico isolotto di Megaride, dove Napoli ebbe inizio. Non solo un’esposizione dei fatti, quella di ieri, ma anche un momento di confronto e di discussione tra gli addetti del settore, alla presenza del soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, Luciano Garella, del rettore della Iulm Mario Negri e della direttrice del Dipartimento Studi Umanistici Giovanna Rocca, del funzionario archeologo Enrico Angelo Stanco e del geologo Rosario Santanastasio, responsabile nazionale dell’associazione Marenostrum di Archeoclub d’Italia.
Tra gli affreschi dell’appartamento privato a pianterreno di Ferdinando II Borbone, ricostruito come un interno pompeiano, Louis Godart alla fine ha circoscritto nel suo intervento il senso del viaggio archeologico di un gruppo di studiosi temerari, perché addentratisi per la prima volta in maniera scientifica negli abissi del mare di fronte Napoli, sottolineando l’importanza del Mediterraneo. «E questa città ha avuto un ruolo straordinario tra i porti del Mediterraneo» ha ribadito l’accademico dei Lincei. Quel mare nostrum, “mediterraneus” perché “in mezzo alle terre”, fatto di lidi e di insenature, di imbarchi e di ancoraggi, che hanno mescolato e mai diviso. Quel mare che ha accolto nel suo grembo la Storia, non per nasconderla, ma per conservarne memoria.