Tra clubbing e cantautorato, ecco Cosmo: “Ci piace il bel canto, ma dobbiamo molto alla dance”
"Mi concentro sul suono di una cassa che pesta. Quello che resta di me" canta Cosmo in "Ho vinto", titolo che potrebbe anche riassumere l'hic et nunc della carriera di Marco Jacopo Bianchi da Ivrea, in arte Cosmo, uno degli artisti che nel giro di un paio di anni è riuscito a imporre un suono e uno stile nella musica italiana, mescolando l'elettronica e l'arte del clubbing alla forma canzone, riuscendo a infilarsi in una crepa poco esplorata, almeno in Italia, a un livello così popolare. Nato artisticamente con i Drink To Me, Cosmo ci ha messo tre album per perfezionare il suono e così dopo l'esordio con "Disordine", c'è stata l'esplosione de "L'ultima festa", con il singolo omonimo e "Le voci", fino alla conferma definitiva di "Cosmotronic", album che non solo consolida e perfeziona un suono, ma come fanno gli album importanti, mette un seme per il futuro con la seconda parte del disco, quella più "tribale", meno pop, benché, come dice lo stesso Cosmo a Fanpage.it è difficile trovare canzoni sue che respingano a un primo ascolto. Il musicista è in tour con uno spettacolo che, sulle orme di Ivreatronic, è qualcosa che va oltre a un semplice live e si avvicina a una sorta di rave, con vari dj set che partono alle 21 e terminano a notte inoltrata: sabato sera il cantante sarà protagonista al Duel Live di Napoli dove ospiterà anche il dj set di Bawrut.
Ciao Marco, Cosmotronic è una delle cose migliori uscite in Italia in questi anni, come sta andando questo tour/party/rave…. Come chiamarlo?
Quello che stiamo portando in giro non è solo un concerto, diciamo che lo chiamiamo Festival itinerante, perché si parte a una certa ora, intorno alle 21.30 e si va avanti fino alle 4 del mattino. Alcuni non l'hanno ancora capito, ma funziona così: c'è un'apertura, 30 minuti circa, live set di Enea Pascal poi c'è il mio live e dopo ci sono dj set, ancora dj di Ivreatronic più un altro ospite. A Napoli, ad esempio, ci sarà Bawrut un ragazzo che produceva house, anni fa, con gli Scuola Furano: portiamo delle realtà nostrane di elettronica underground da ballare, il comune denominatore è quello, è roba da ballare, di qualità. Insomma, mi piaceva portare in giro tutto un concept legato al mio disco, che deve anche tanto al fatto che ho cominciato a fare dei dj set con Ivreatronic e in generale tutto questo mondo mi ha ispirato, è lì che ho trovato ispirazione più che nella canzone italiana classica e allora ho detto, facciamo questa cosa che immergiamo la gente in un'esperienza del genere. Io poi rimango fino alla fine, non riesco a resistere, mi diverto un sacco, faccio il vocalist, suono, metto i dischi.
Senti, l’album ha due facce, la prima più “radiofonica”, per capirsi, la seconda più “tribale”. Come è stata accolta, ora che è passata qualche settimana dall’uscita, la seconda parte? E volevo capire anche nel live come rende a livello di sensazione col pubblico.
Funziona perché è inserito a un punto del concerto verso cui ti porta la scaletta e dà anche un attimo di fiato alle persone, perché è meno cantata, meno aggressiva da quel punto di vista, è tutto ritmo e quindi ti fai quel viaggio strumentale. Sono molto soddisfatto di come reagisce la gente, almeno dal vivo, sugli ascolti presumo che uno abbia più facilità ad ascoltare il primo che il secondo, però in realtà sono felicissimo perché sono riuscito a integrarlo con lo spettacolo in maniera molto potente.
Tra l’altro leggevo che in futuro vorresti virare più verso quello, una sorta di accompagnamento per la mano al tuo pubblico…
Io sono molto più interessato a dove va la seconda parte, perché penso che la musica non siano solo canzoni, la musica non è solo cantare delle canzoni, la musica sono tante cose e tanta della musica che ascolto è strumentale che sia il minimalismo, classica, roba elettronica pura o colonne sonore… La musica ha tanti aspetti che non si riducono alla canzone: in Italia c'è questa passione per il bel canto, i derivati, il melodramma e si dimentica spesso che anche tra le cose più forti che abbiamo prodotto ci sono cose dance, la techno anni 90, la trance, l'italo disco e a me piace pensare che la musica sia anche quello.
Se penso alla situazione radiofonica di due anni fa, ancora stento a pensare che oggi ti passano anche su radio più commerciali e in orari "normali"…
Guarda, ci sono le canzoni e le canzoni trascinano quel tipo di dinamiche, no? Quello che mi interessa è fare scoprire al mio pubblico che la musica è anche altro, fargli apprezzare anche altri aspetti, poi è chiaro che faccio canzoni e mi piace e le canto e le scrivo se ho qualcosa da dire se mi viene da farlo. Perché mi viene da farlo, non è che mi sforzo: io scrivo le canzoni, poi le guardo e mi dico ‘Quale tra queste potrebbe andare in radio?' e non faccio mai il contrario tipo ‘Ok, adesso tiro fuori un singolo da radio', non è quella la mia aspirazione, al massimo è ‘Speriamo che tra quelle che scrivo ce n'è qualcuna per le radio'".
In realtà sei riuscito a infilarti in una crepa, hai approfondito, col tempo, qualcosa che non era stato affrontato come si deve e alla fine pare che questa cosa ha pagato. Cosa è cambiato secondo te? Un movimento, il pubblico, il ricambio di giornalisti?
Secondo me il fatto che ho sfondato un po' nelle radio ha aperto un circuito più generalista, più grande, e quello sicuramente ha avuto la sua importanza e poi da quel momento i media, incuriositi da me, hanno apprezzato il lavoro fatto, questo tipo di produzioni anche un po' spinte. Hanno capito che non arrivavano dall'intenzione di chiudermi nella sperimentazione pura, ma è un intento molto comunicativo: se senti una mia traccia è difficile che la trovi totalmente inascoltabile, c'è sempre qualcosa di morbido, piacevole. Poi, comunque, quando c'è un ricambio generazionale si è un attimo più aperti e propensi ad accettare cose nuove e non parlo solo di me.
Se ti giri indietro pensi mai alla fatica che facevano i Drink To Me?
Beh, io non me la dimentico mica quella roba lì, a parte che è soltanto 3 anni fa, ma poi anzi ho rifatto l'ultimo tour l'anno scorso. Non lo dimentico perché ti marchia. A livello di competenze tecniche ti aiuta tantissimo e io vengo da quel trascorso on the road e ne sono orgoglioso, poi so benissimo che quando una cosa va bene a un certo punto rischia di non andare più, per questo non mi illudo che duri per sempre, sicuramente se dovessi trovarmi in una situazione come quella adesso faticherei di più, però ci penso con commozione, perché sono stati periodi formativi, importantissimi, in cui ho imparato, sperimentato, mi sono divertito, e ho imparato cosa vuol dire stare sul palco. L'ho imparato in quel modo lì, senza tv, senza che le radio mi calcolassero, senza attenzione mediatica grossa, ma solo mettendomi in discussione davanti a poche decine o poche centinaia di persone.