Mamma Diana prende un respiro nel lungo corridoio in cui sua figlia Ilaria attende un cuore nuovo. Da un po' di tempo il reparto di "Assistenza meccanica al circolo e dei trapianti nei pazienti adolescenti" dell'ospedale Monaldi di Napoli per loro è diventata casa. Con lei ci sono i suoi "moschettieri", i suoi medici, come li chiama la piccola di 11 anni, che ha già sconfitto un tumore aggressivo e non è stanca. Continua a lottare. Il suo cuoricino resiste, grazie al "Berlin Heart", un'evoluzione della tecnologia che permette di sostenere il circolo in attesa di un trapianto. Il dottor Andrea Petraio, responsabile del reparto, lo chiama "l'ampolla di San Gennaro".
Questo reparto non è come gli altri. Le pareti sono colorate ed esiste una stanza comune, dove la vita sembra poter scorrere normalmente, con una televisione, libri. Qui, attorno al tavolo, c'è anche Giovanna, mamma di Gennaro che attende un cuore e anche lui spera presto di poter uscire da questo incubo. C'è una telefonata che le famiglie attendono, come una preghiera silenziosa, una formula segreta al cui interno è custodito il dono più prezioso: la vita. La notizia più attesa, all'altro capo del telefono, mamma Giovanna e Gennaro l'hanno ricevuta due volte: C'è un cuore, c'è speranza. Scoprendo poi però che non era compatibile. «Ricordo ancora quando il medico mi ha detto che mio figlio doveva avere un trapianto». Piange Giovanna ed è Gennaro a darle coraggio. Così come Ilaria, con mamma Diana. Sono più forti della malattia. Nella stanza accanto c'è Michele, che oggi è ormai adulto. Sono circa 20 anni che ha scoperto di avere una cardiomiopatia ipertrofica. Oggi, dopo tentativi farmacologici, ha bisogno di un trapianto. «Qui siamo da due mesi, spiega suo fratello Ciro, non è molto ma non può aspettare di più».
I trapianti al Monaldi
Nunzio, lo scorso febbraio, ha avuto un infarto, «un infarto mortale, se è arrivato fin qui è un miracolo», racconta sua moglie Alfonsina. Anche lui, come gli altri ha bisogno di un trapianto. Nonostante la vita scorra normale e il reparto sia diventata una famiglia, nessuno dimentica una frase, affissa un po' ovunque sulle pareti di questo angolo dell'ospedale: donare è vita. E sono proprio loro a chiedere che tutti diventino donatori, anzi, aggiunge Petraio, dovrebbe essere il contrario. Bisognerebbe dichiarare quando non si vuole donare. Prima di andare via è mamma Diana a raccontarci che è donatrice dal 2018, da prima che la piccola Ilaria si ammalasse. E soprattutto spiega perché oggi rifarebbe quella scelta: «Donare è amare, è la speranza che chi hai amato sia ancora qui con te».