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Un delitto, tre piste: la nuova inchiesta sull’omicidio Romina Del Gaudio

Un omicidio, tre piste. A quindici anni dall’omicidio di Romina Del Gaudio, la 19enne napoletana trovata scheletro nel Bosco di San Tammaro il 4 giugno del 2004, la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha riaperto il caso e iscritto 3 persone nel registro degli indagati. Tra vecchi fantasmi e nuove piste, le 3 ipotesi investigative che presto daranno un volto all’orco che massacrò la giovane Romina.
A cura di Angela Marino
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Un delitto, tre piste. La riapertura del caso Romina Del Gaudio, la ragazza del bosco, rispolvera storie e scenari dimenticati. Romina aveva solo 19 anni quando è stata ammazzata. Era una bella ragazza dal carattere allegro e vivace, lavorava come promoter per una compagnia di telefonia, stipulava contratti porta a porta, usava molto il cellulare. Viveva in un appartamento del quartiere Vomero di Napoli, insieme a Grazie, la mamma, mentre suo padre, che si era separato da Grazia quando lei era solo una bambina, viveva in Germania. Romina aveva anche un fidanzato, Francesco.

Quel padre assente

Il padre di Romina è sempre stato una figura chiave nel delitto. Napoletano ‘emigrato', come si diceva allora, prima a Londra e poi in Germania, aveva sempre lavorato nel settore della ristorazione, con guadagni scarsi e una posizione grama. Fuori dall'Italia si era circondato di figure equivoche, personaggi legati alla criminalità in maniera marginale, alcuni in odore di camorra. Per Romina non era mai stato un padre, ma solo qualcuno che da lontano assolveva, in parte, ai doveri economici nei suoi confronti. Gennaro le mandava di tanto in tanto dei soldi (100mila lire) attraverso due persone con cui era in affari, due fratelli originari di Casal di Principe, che di tanto in tanto incontravano Romina per consegnarle questo denaro, facendo da corrieri. Saranno i primi a finire nella rosa dei sospettati.

4 giugno 2004

Romina, dunque, una bella e intraprendente ragazza di 19 anni, viene vista l'ultima volta in vita il 4 giugno del 2004. La sera prima in agenzia le avevano assegnato, con il suo gruppo di lavoro (due colleghe e due colleghi) come destinazione Giugliano, in provincia di Napoli, dove Romina aveva già dei contatti. L'indomani, però, la destinazione viene cambiata all'ultimo momento in Aversa, provincia di Casera, una cittadina dove Romina non era mai stata per lavoro e dove non aveva contatti. Lì, tra le strette viuzze residenziali del centro, Romina sparisce. Resta una ragazza scomparsa per oltre un mese, 45 giorni in cui, a cercarla, sono solo i parenti.

Violentata e uccisa

Il 21 luglio del 2004, un uomo segnala la presenza di resti umani nel bosco del real sito di Carditello. Romina era stata accoltellata e colpita alla testa con due proiettili calibro 22, denudata, non si sa se prima o dopo il delitto, e forse violentata, questo l'autopsia non sarà in grado di accertarlo. Al cospetto dei resti della figlia, identificata attraverso i documenti e gli indumenti, anche quelli intimi, mamma Grazia ha una reazione di diniego. Per lei, nonostante l'evidenza scientifica del test del DNA che arriverà di lì a poco, quelle ossa martoriate dagli animali selvatici del bosco non sono i resti della sua Romina.

Mamma Grazia: "Mia figlia è viva"

Le sue ipotesi sono tragiche quanto fantasiose e a tratti deliranti: il rapimento, le sette, lo scambio di persona e alcune di queste, purtroppo, finiscono per influenzare negativamente le indagini. Si arriverà ad aprire un loculo del cimitero solo perché Grazia Gallo dirà che c'è stato uno scambio di resti da parte dei sequestratori di sua figlia. Il lavoro, massiccio e costante, degli inquirenti, si orienta quindi prima sulle suggestioni di mamma Grazia e poi su piste estemporanee, segnalazioni di mitomani, depistaggi. Luciano Agnino, un vicino di casa di Romina, finirà tra gli indagati insieme ad altri soggetti, ma tutti verranno scagionati dal confronto con il DNA maschile su un paio di slip da donna, ritrovati nel bosco e ritenuti appartenere a Romina.

Viaggio al centro dell'indagine

Il ritrovamento di quegli slip impigliati al ramo di un albero segnerà un pregiudizio investigativo che potrebbe aver limitato, se non addirittura sviato le indagini. Sì, perché da quel punto del bosco e per i successivi metri fino al cadavere di Romina, i carabinieri inizieranno a raccogliere oggetti classificandoli come reperti del caso: un pacchetto di fazzoletti, una tessera di una piscina, un liquido lubrificante venduto nei sexy-shop. Insomma tutti questi oggetti verranno collegati al caso perché ritrovati nel perimetro fra quegli slip e il corpo. E se quelle mutandine fossero appartenute a qualcun altro? Se l'assassino avesse portato via quelle di Romina, forse per sottrarre un indumento che riportava tracce biologiche? Non è dato saperlo, ma certo è che quegli slip scagionarono più di un sospettato. Le indagini non portano da nessuna parte e nel 2017 il caso viene archiviato definitivamente.

E dopo 14 anni, il colpo di scena

Mamma Grazia intanto è morta di cancro, credendo fino all'ultimo giorno che Romina fosse da qualche parte. A custodire il fardello di quella maledetta storia è rimasto suo fratello, Ciro Gallo, lo zio di Romina, quello che gli ha fatto un po' da padre. Un anno dopo l'archiviazione Gallo si rivolge a un nuovo avvocato, Fracesco Stefani, penalista di Firenze che nulla a che fare con i casi napoletani. Stefani è noto per la sua esperienza nel campo delle indagini difensive, ovvero di quelle indagini che l'avvocato svolge in autonomia dalla procura. Indaga, con l'ausilio dell'investigatore Giacomo Morandi e di Luisa D'Aniello, criminologa napoletana. È il 2018. Si riparte da quei famosi reperti, ma stavolta si fanno dei passi avanti. Come primo obiettivo ci si pone quello di attribuire finalmente quegli slip a Romina e qui entra in gioco Marina Baldi, genetista forense, a cui toccherà il compito di esaminare nuovamente il DNA con le tecniche moderne.

Un omicidio, tre piste

Intanto, si dà un nome al proprietario di quella tessera della piscina trovata tra i rovi e si scopre che è un uomo che vive nel Napoletano, residente, guarda caso, proprio in una strada dove Romina stipulava contratti. È questa è la prima pista da seguire. La seconda invece, parte da quel liquido lubrificante (presumibilmente usato per la violenza sessuale) e attraverso un'indagine merceologica scopre che quel liquido, negli anni del delitto in cui non esisteva il commercio su internet, veniva venduto fuori dall'Italia. A voi immaginare dove. Siamo alla pista due. La pista tre, invece, è rappresentata da una lettera anonima inviata nel 2011 alla redazione di Chi l'ha visto e mai attenzionata dalla Procura.

‘To be continued'…

Una donna racconta di aver visto Romina ad Aversa, la mattina della scomparsa e di aver notato due uomini che, a bordo di un'auto, cercavano di convincerla a salire con loro. La lettera riporta una targa, la targa rimanda a un veicolo in circolazione appartenente al padre di un un soggetto residente nel Casertano (ad Aversa, per la precisione) con all'attivo una condanna per l'omicidio di una donna. La lettera potrebbe essere un depistaggio, ma non va trascurata. Tutte le piste confluiscono in un  fascicolo con la scritta ‘richiesta di riapertura' che a dicembre del 2018 finisce sulla scrivania della pm della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Il pubblico ministero riapre il caso, è la primavera 2019. Il resto della storia lo leggerete nei prossimi articoli.

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