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Covid 19

“A Mondragone c’è una bomba sociale. Ed è il caporalato”

La situazione dei palazzi ex Cirio di Mondragone, dove è scoppiato un focolaio di coronavirus, è la conseguenza del degrado che ha trasformato quegli edifici in ghetto. Ci vivono fino a 1200 persone, in condizioni igieniche precarie. Sono per lo più braccianti, che lavorano nei campi sottopagati e senza tutele. E i problemi sanitari che ne derivano, spiega a Fanpage.it Igor Prata (Flai Cgil), non riguardano solo loro ma la tutela di tutta Mondragone.
Intervista a Igor Prata
Segretario generale Flai Cgil di Caserta
A cura di Nico Falco
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Il focolaio scoppiato nei palazzoni ex Cirio di Mondragone è la conseguenza di un problema che nasce da lontano, ben prima dell’arrivo del nuovo coronavirus. È il risultato di una storia che mischia degrado, sfruttamento e lassismo: gli ingredienti che in anni hanno portato alla nascita di un ghetto nel centro città, dormitorio per centinaia di braccianti che vivono alla giornata ma anche, come accade nelle zone in preda all'abbandono, rifugio di piccoli delinquenti. Una bomba sociale che si può far finta di non vedere, ma che prima o poi è destinata ad esplodere. E che, come spiega a Fanpage.it Igor Prata, segretario generale della Flai Cgil di Caserta, non riguarda soltanto chi in quei palazzoni ci vive, ma anche, e forse ancora di più, il resto della cittadinanza.

Prata, come si vive negli edifici ex Cirio?

In quei palazzi ci sono 5/600 persone stanziali, che vivono lì sempre. In questo periodo ne arrivano altrettanti per lavorare nei campi. Ci sono bulgari, ma anche italiani o persone provenienti dal Sudamerica, dall’Africa, dall’Est Europa in genere. In estate tra quelle mura possono abitare anche mille, 1200 persone: sono abusivi in questo senso, ce ne sono molti di più rispetto a quanto registrato sui contratti. Si appoggiano ai fitti già esistenti, pagando di più e sottobanco ai proprietari degli appartamenti: ci hanno detto che un posto letto vale anche 100 euro al mese.

Di cosa vivono queste persone?

Sono per lo più braccianti. Sono nei campi dalle nove alle 11 ore al giorno, per compensi che vanno dai 30 ai 40 euro, ai quali va sottratta la percentuale da dare al caporale. Molti lavorano in nero, gli altri sono sottopagati o si vedono dichiarate poche giornate di lavoro pur andando nei campi tutto l’anno. Sono tutte condizioni che, in periodo di epidemia, sono ancora più pericolose: vivono in scarse condizioni igieniche, ammassati, a marzo fu fermato un camioncino diretto ai campi dove c’erano stipate 16 persone. È evidente che nei ghetti, ovunque si trovino, l’esposizione al virus è maggiore. E che all’emarginazione lavorativa segue anche quella sociale.

Ieri mattina, prima degli scontri, decine di persone erano scese in strada per protestare. Anche questo ha provocato la reazione dei cittadini di Mondragone. Lei ha parlato con gli occupanti?

Sono molto preoccupati. Sia perché non capiscono pienamente quello che sta succedendo, sia perché sono arrivati qui per lavorare, con la quarantena non possono farlo e quindi rimangono senza risorse. Altra preoccupazione è quella del trasferimento al Covid Center di Maddaloni: l’hanno presa molto male, non vogliono essere portati in un’altra città.

Quella dei palazzi ex Cirio trasformati in dormitorio è una questione vecchia, una bomba sociale conosciuta e su cui non si è mai intervenuto radicalmente. Cosa è mancato negli anni?

Noi come Flai Cgil abbiamo svolto una attività costante come sindacato di strada, abbiamo cercato di capire le problematiche di questi cittadini, di fornire loro assistenza, abbiamo rappresentato queste criticità in tavoli istituzionali, anche in Prefettura. Ma l’unico modo per risolvere la situazione è applicare integralmente la legge 199 del 2016, quella contro il caporalato: non basta la repressione, bisogna intervenire sulla situazione sanitaria e alloggiativa dei braccianti. Ora, col Decreto Rilancio, le Istituzioni e i Prefetti possono intervenire per gli alloggi.

È evidente che per un settore strategico come quello dell’agroalimentare sia di fondamentale importanza la tutela della salute dei lavoratori, che sono a contatto col cibo. Risolvere questi problemi non va nell’interesse esclusivo dei braccianti, è una questione di salute pubblica.

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