Dobbiamo essere grati a Elena Ferrante per una cosa che non ha fatto e a Saverio Costanzo, il regista della trasposizione televisiva de L'Amica Geniale per una cosa che non ha preso dal primo libro della tetralogia che racconta la vita di Elena Greco e Lila Cerullo. Dobbiamo essere grati per il dialetto, anzi per la lingua napoletana.
La stagione iniziale della serie televisiva Hbo-Rai è interamente in vernacolo, una scelta che regista e sceneggiatori hanno condiviso con la scrittrice; questa decisione ha dato alla nostra lingua una potenza che da anni mancava. Il nostro è il dialetto di ‘O sole mio, delle commedie di Eduardo De Filippo , di una cultura pluricentenaria, i grandi produttori di serie tv lo trattano come ad esempio è stato trattato lo spagnolo in Narcos su Netflix: coi sottotitoli. Anche per la serie tv Gomorra è avvenuto lo stesso, ma non si tratta dello stesso napoletano. La lingua partenopea dei dialoghi dell'Amica è ricercata, sintatticamente corretta, è figlia del periodo storico in cui è ambientato il racconto (gli anni Cinquanta) ed è straordinariamente ricca di vocaboli e riferimenti, senza bisogno di metafore ardite o del cupo valore impresso dai camorristi della serie ispirata al libro di Roberto Saviano.
Dunque grazie: nei successivi capitoli, La Storia del Nuovo Cognome, Storia di chi fugge e di chi resta, Storia della bambina perduta, la trama porterà Lenuccia lontana da Napoli e il dialetto diverrà sempre più misto all'italiano, lontano dalla decisione delle frasi pronunciate nel rione; la stessa Elena Ferrante lo scrive nei libri, facendolo dire a Lenù. Dunque facciamo tesoro della potenza narrativa, evocativa, poetica, culturale, di questa straordinaria lingua: il napoletano non è mai stato così vivo e vitale.