Hanno rasato il prato di fronte alle palazzine perché apparisse più decoroso alle telecamere. Il Parco Verde di Caivano si ripulisce per accogliere la tv, la stampa e i curiosi. Sì, perché è quello della morte di Fortuna Loffredo, detta Chicca, è il caso che più di ogni altro catalizza l'attenzione dei media e tutti i giornalisti, opinionisti, presenzialisti e comparse della tv sono pronti a dire la loro in una vicenda che trasuda orrore e angoscia. Non serve essere stati a Caivano, aver varcato il perimetro del rione alla periferia del paese per esprimere con convinzione un'opinione sulla marcescenza di quel contesto, basata sui luoghi comuni e sul sentito dire.
E le corsie di asfalto tra i palazzoni del parco sono diventati red carpet, non certo per gli inquirenti, che continuano il loro difficile lavoro, e neanche per i consulenti come Roberta Bruzzone, che ha messo a disposizione la sua professionalità per fare chiarezza sul caso. Ma di quanti si mettono a favore di telecamera per dire la loro, di quelli che hanno dovuto cercare Caivano su Google maps per capire dove fosse e sanno esattamente cosa è successo e perché, dei tuttologi sciacalli che fagocitano tutto quello che è mainstream.
Dopo la morte di Chicca, avvenuta dopo una agonia di ore dopo che era stata lanciata da un grattacielo alto otto piani, dopo che la sua vita e la sua innocenza sono state brutalizzate, ora che la sua memoria è legata alle violenze che ha subito, non c'è più molto da fare. Anzi no. L'ultimo debito che la società che non l'ha protetta ha con Fortuna, è quello della verità. E la verità sulla sua morte è lontana, assai lontana dalle luci dei riflettori.