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Cella zero, 12 richieste di rinvio a giudizio per le violenze nel carcere di Poggioreale

Botre ai detenuti nella ‘cella zero’ del carcere di Poggioreale: la Procura chiede il rinvio a giudizio per 12 agenti di polizia penitenziaria.
A cura di Gaia Bozza
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Cella zero, la Procura di Napoli ha chiesto il rinvio a giudizio per 12 dei 22 indagati per le presunte violenze nel carcere di Poggioreale. Si tratta di agenti di polizia penitenziaria. Tutti dovranno rispondere di abuso di autorità contro detenuti, in quattro casi anche di lesioni, in due casi di sequestro di persona e in un caso di maltrattamento. In alcune circostanze i detenuti sarebbero stati letteralmente sequestrati e picchiati: secondo i magistrati la cella zero, dunque, esiste.

L'inchiesta, condotta dai procuratori aggiunti Valentina Rametta e Giuseppina Loreto e coordinata da Alfonso D'Avino, è giunta alla  tappa decisiva. Sono state fondamentali le testimonianze e le denunce di molti detenuti. Un'indagine condotta in maniera scrupolosa, visto il tema delicato, che si è basata su numerosi riscontri e che ha analizzato in maniera approfondita tutte le testimonianze. L'inchiesta è durata tre anni ed è partita nel Gennaio 2014: un servizio esclusivo di Fanpage raccoglieva la testimonianza di un ex detenuto che aprì lo squarcio decisivo sull'orrore della “cella-zero”. Ma non fu certo l'unica denuncia: all'epoca del servizio, come documentò Fanpage, erano già 40. Maltrattamenti, percosse, timpani perforati a suon schiaffi e pugni. Erano anni che i detenuti denunciavano questo stato di cose, il primo a farlo fu Pietro Ioia, oggi presidente di una associazione per i diritti dei detenuti, che denunciò percosse già negli anni Ottanta e Novanta. Uno dei ristretti che aveva subito violenze descriveva così la sua terribile esperienza: “Erano le dieci e mezza di sera. All'improvviso, senza motivo, mi hanno portato in un altro posto, mi hanno spogliato, mi hanno picchiato”. Calci, schiaffi, pugni, ematomi. Il detenuto riportò problemi a un orecchio ma nel carcere, secondo un certo codice, queste cose non si dicono, dunque lì per lì tacque. Poi ci ripensò. E denunciò. Anche davanti alla telecamera. Fu la prima crepa nel sistema di violenza.

Dopo la pubblicazione del servizio, la Procura di Napoli aprì una inchiesta e fu letteralmente sommersa da denunce da parte di detenuti. I racconti passati al setaccio dalla Procura sono allarmanti: c'è chi è stato colpito con la chiave della cella alla testa, c'è chi è stato selvaggiamente picchiato con schiaffi e pugni e sbattuto contro la porta blindata, c'è chi ha riportato danni all'orecchio. Uno degli indagati, inoltre, è indagato anche per maltrattamento: vuol dire che la condotta violenta è stata reiterata nel tempo.

All'epoca delle denunce, il direttore del carcere era Teresa Abate. Lo scandalo si intrecciò con la condanna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a causa del sovraffollamento e delle condizioni disumane nelle quali vivevano i reclusi. La direttrice andò via, al suo posto arrivò Antonio Fullone. In tre anni, la situazione nella casa circondariale partenopea è migliorata: meno sovraffollamento, non sono arrivate altre denunce di violenza sui detenuti. Il pericolo, però è dietro l'angolo: oggi il direttore Antonio Fullone va via, avrà forse un altro incarico nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria campana: “Io spero che non ci siano più violenze, che il carcere continui a migliorare. Credo che ora ci siano gli anticorpi e Poggioreale possa diventare sempre migliore, attento all'umanità, che c'è all'interno dell'istituto, e al reinserimento dei detenuti”.

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