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Opinioni

La bella esperienza dei ragazzi ciechi: sott’acqua a Baia per toccare i resti dell’antica città

La bellissima esperienza dei ragazzi ipovedenti nel Parco archeologico di Baia Sommersa: esplorazione subacquea tra i resti della città romana. Inseriti nel progetto “SeaReN, con gli occhi di Parthenope”, finanziato dall’Università Iulm di Milano, quattro novelli sub dell’istituto napoletano hanno potuto scoprire le antiche vestigia sprofondate in mare duemila anni fa a causa del bradisismo, sotto Punta Epitaffio. Con loro il principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie che ha consegnato le mute donate dall’Ordine Costantiniano.
A cura di Claudia Procentese
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«Ho poggiato la mano su un pavimento di duemila anni fa, nell’acqua mi sembrava di attraversare la storia». Appena risalita dall’immersione nel mare dell’antica Baia, Angela ha ancora quell’emozione addosso che impedisce di raccontare. Lei, ipovedente, toccando ha potuto scoprire le bellezze del mondo sommerso in prossimità di Punta Epitaffio, all’interno del Parco archeologico dei Campi Flegrei. Ha sfiorato con le dita le statue del Ninfeo di Claudio, sala di rappresentanza appartenente al palazzo dell’imperatore romano, sprofondata negli abissi a causa del bradisismo, fenomeno vulcanico che periodicamente fa abbassare o innalzare il livello del suolo.

La stupenda esperienza fra le rovine di Baia Sommersa

Pronta a scendere giù, Angela, a cinque metri di profondità, per la prima volta sabato scorso, guidata dagli istruttori del percorso di inclusione sociale “Con gli occhi di Parthenope” del più ampio progetto SeaReN (Sea Research Neapolis) reso possibile grazie al finanziamento dell’università IULM di Milano, insieme ad altri quattro suoi compagni dell’istituto Paolo Colosimo di Napoli per ciechi e ipovedenti. È quasi mezzogiorno e li accompagna una personalità d’eccezione, il principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, Duca di Castro e Capo della Real Casa, che, in occasione del conseguimento del brevetto di novelli sub, consegna loro le mute donate dall’Ordine Costantiniano di San Giorgio. Una cerimonia semplice, colma di odore salmastro e strette calorose dentro una sorta di metro mentale che, sorretto dall’orientamento, permette a chi ha un deficit visivo di muoversi con una disinvoltura speciale, perché misura relazioni prima che distanze. L’organizzazione concreta è affidata a Mariano Barbi, team leader di SeaReN, che coordina con Carlo Molino, presidente della Onlus “Vivere per Amare”, e con il geologo Rosario Santanastasio, responsabile nazionale di Marenostrum – Archeoclub d’Italia. Nulla è affidato al caso, ogni step è seguito scrupolosamente, l’immersione dura un paio d’ore. Gaetano Vassallo, guida subacquea Hsa (Handicapped scuba association) che ha seguito i ragazzi da gennaio ogni lunedì in piscina (i partecipanti al progetto sono in tutto una ventina), cerca di tenere a bada l’energia contagiosa di Angela, Mario, Giuseppe e Giulio, che ritornano in gommone nel porto di Baia. Ad aspettarli sulla banchina della pusilla Roma, della “piccola Roma” come Cicerone definì Baia, luogo di eleganti ozii, c’è Boss, il cane inseparabile di Giulio. Il labrador scodinzola, ritrova il suo padrone e si accuccia con il muso sulla sua gamba. «Sta con me da quattro anni, Boss è di una tenerezza fuori dal comune a dispetto del nome, quando abbiamo fatto gli allenamenti in piscina non mi ha lasciato un attimo» racconta Giulio che lavora in carcere a Salerno, «ed avere un cane che si chiama così – aggiunge sorridendo – è davvero il colmo».

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Lo stupore dei ragazzi dell'Istituto Colosimo

Paradossi che hanno un senso. Come quell’originale papillon a colori sfoggiato sopra la nera muta. «In onore del principe – risponde Giuseppe a chiunque chiede il motivo -, perché alla fine la classe non si sciacqua». Battute, risate, sempre sul filo della riflessione. «La diversità fa parte della condizione umana – dice Tiziana Petrosino, responsabile delle attività educative del Colosimo -. In questo caso l’archeologia è messa al servizio dell’inclusione». E la discesa nel buio abissale diviene non solo soglia da valicare, porta magica che conduce in altri tempi, ma anche trasgressione che apre al viaggio dentro di sé. Perché la trasgressione altro non è che la capacità di verificare la norma sconfinando. Norma, da normalità. Ma cos’è la normalità? «Non lo so, ne sono ancora alla ricerca. So, però, che sott’acqua conosciamo noi stessi» risponde Mario dall’entusiasmo coinvolgente, prima di andare ad asciugarsi e cambiarsi nei locali che la Capitaneria ha messo a disposizione come appoggio logistico all’immersione. «Cosa ci dà fastidio? La perdita della capacità di ascoltare – continua Angela -. Noi abbiamo bisogno degli altri, dell’attenzione degli altri, non di assistenzialismo, l’altro per noi è un valore che ci definisce, non sostituisce». Dure da abbattere sono le barriere mentali prima di quelle architettoniche. Angela arresta la sua parlantina sciolta, prende fiato e sussurra divertita: «Mi sono fatto da solo, lo dicono solo i drogati, no?». Una battuta che brucia i dubbi dell’interlocutore: l’altro è la persona con cui condividere, non da cui dipendere. «A Baia, ieri, gli antichi Romani venivano a curarsi lo spirito – ricorda Filippo Avilia, archeologo subacqueo del SeaReN Project e professore presso l’Università IULM di Milano -, noi, oggi, ci prendiamo cura di questi ragazzi. Quello che manca nelle nostre comunità spesso è l’empatia, il chiedere “tu come stai?” che implica il successivo impegno ad accogliere, quello che serve è la presa in carico della loro emozionalità». Forse il confine tra normalità e anormalità dipende dai punti di vista, da quella continua ricerca di cui parla Mario. Nel mare del sentire. Forse dove tutti sono ciechi, il disabile è colui che vede. Ma questa è un’altra storia.

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