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Corruzione elettorale, a giudizio la famiglia Cesaro

Favori e facilitazioni per agevolare la campagna elettorale di Armando Cesaro nel 2015: in 29 tra politici e imprenditori il 13 dicembre prossimo dovranno comparire dinanzi al Tribunale di Napoli Nord, per rispondere di corruzione elettorale. A giudizio, Luigi Cesaro, ex deputato e attuale senatore di Forza Italia; il figlio Armando, capogruppo regionale; i fratelli Aniello e Raffaele, detenuti dal maggio dello scorso anno per le vicende collegate al controllo mafioso dell’area Pip di Marano (di cui questa inchiesta è uno stralcio); la consigliera regionale azzurra Flora Beneduce e 24 tra imprenditori, commercianti, professionisti.
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Favori, abbonamenti e biglietti omaggio per l’ingresso in piscina, la promessa di appalti milionari in zona Asi (in provincia di Caserta) e di nomine nella sanità. Tutto per garantire voti ed elezione sicura ad Armando Cesaro, candidato al consiglio regionale della Campania, poi effettivamente eletto con una messe abbondantissima di preferenze. Avveniva nella primavera del 2015, quando per la campagna elettorale di mobilitò l’intera famiglia, quella di sangue e quella politica.

Il 13 dicembre prossimo dovranno comparire tutti dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Napoli Nord, Agostino Nigro, per rispondere di corruzione elettorale. Ventinove gli imputati che hanno ricevuto nei giorni scorsi il decreto di citazione diretta firmato dal pm Simone de Roxas, che ha ritenuto non meritevoli di accoglimento le tesi difensive prospettate all’indomani degli avvisi di garanzia e di conclusione delle indagini, arrivati il 20 gennaio, alla vigilia della formazione delle liste per le scorse elezioni politiche. Una bufera che aveva investito Forza Italia senza però influire sulle candidature.
A giudizio, dunque, Luigi Cesaro, ex deputato e attuale senatore di Forza Italia; il figlio Armando, capogruppo regionale; i fratelli Aniello e Raffaele, detenuti dal maggio dello scorso anno per le vicende collegate al controllo mafioso dell’area Pip di Marano (di cui questa inchiesta è uno stralcio); la consigliera regionale azzurra Flora Beneduce; altri ventiquattro tra imprenditori, commercianti, professionisti che finanziarono la campagna elettorale o che si impegnarono direttamente in cambio della promessa di varie utilità: dalle raccomandazioni alle assunzioni alle Poste fino all’appalto da dieci milioni di euro.

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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