Crac al Comune: blocco della spesa o dissesto, decisione in pochi mesi. Panini: “Roma ci aiuti”
Blocco della spesa e delle assunzioni, tasse al massimo e un piano di rientro draconiano fino al 2045 per recuperare 2,8 miliardi di euro di disavanzo, oltre ad un extradeficit ancora da calcolare per tutte le spese fatte e non coperte dal 2017 ad oggi. Oppure il dissesto. Sono queste le alternative che si profilano per il Comune di Napoli, dopo la sentenza della Corte Costituzionale di oggi, 28 gennaio 2020. La procedura potrebbe concludersi nel giro di 3-4 mesi, a meno di un intervento del Governo con una legge Salva-Comuni, richiesto a viva voce oggi dal vicesindaco di Napoli, Enrico Panini.
Il disavanzo monstre schizza a 3 miliardi di euro
La Consulta, con la sentenza 4 del 2020, ha censurato l'uso da parte di Palazzo San Giacomo delle anticipazioni di liquidità per 1,1 miliardi di euro (il cosiddetto FAL, Fondo anticipazioni di liquidità), cioè i prestiti avuti dal Governo dal 2013 in poi, per andare ad azzerare il Fondo Crediti di Dubbia Esigibilità (FDCE), ossia i crediti che il Comune riteneva difficili da riscuotere, un sistema che ha consentito di abbassare il disavanzo in maniera “fittizia”, come scrivono i giudici costituzionali, liberando risorse per fare altre spese, “in tal modo incrementando di fatto – scrive la Corte Costituzionale – senza che ciò appaia dalle scritture ufficiali, il disavanzo di amministrazione già maturato negli esercizi precedenti”. La spesa del Comune, insomma, negli ultimi 3 anni è stata “sovradimensionata”, e questo ha generato un extradeficit.
“Spesa sovradimensionata negli ultimi tre anni, il Comune dovrà recuperare tutto”
“Se, da un lato, l’amministrazione comunale, fino alla data della presente pronuncia – prosegue la Consulta – ha gestito realmente partite di spesa superiori a quelle costituzionalmente consentite, in tal modo peggiorando lo stato dei propri conti, dall’altro lo ha fatto sulla base di disposizioni legislative in vigore e di atti contabili dimensionati in rapporto alle potenzialità consentite dalle medesime disposizioni. Ne è derivato che tale gestione si è dipanata in una serie di impegni e pagamenti, in relazione ai quali l’affidamento dei soggetti venuti in contatto con l’amministrazione comunale e la funzionalità di progetti avviati secondo contratti e situazioni negoziali in itinere non possono essere travolti dalla dichiarazione di illegittimità di norme che hanno consentito, durante la loro vigenza, il sovradimensionamento della spesa”. “L'extradeficit presumibilmente generato dalla gestione posta in atto nelle more della presente decisione (non risulta allo stato degli atti la realizzazione di alcuna economia in grado di compensare l’allargamento della spesa), l’ente locale dovrà avviare il necessario risanamento nei termini di legge”.
Perché si rischia il blocco della spesa?
A chiedere l'intervento della Corte Costituzionale sulla questione dell'anticipazione di liquidità erano state le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, a febbraio 2019, intervenute su ricorso del Comune contro la delibera 107/2018 della Corte dei Conti della Campania, che aveva disposto appunto il blocco della spesa. Le Sezioni Riunite con la sentenza non definitiva 5 del 2019 avevano respinto in parte le contestazioni del Comune e per la restante parte, relativa all'anticipazione di liquidità, avevano rinviato la questione alla Consulta. Nell'attesa della decisione, poi, avevano sospeso la delibera 107/2018 sul blocco della spesa. E questo ha consentito a Palazzo San Giacomo di spendere di più negli ultimi tre anni.
Cosa succede adesso?
La palla, ora, torna di nuovo alle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, che potranno così emettere la sentenza definitiva sul ricorso presentato dal Comune l'anno scorso, in parte già respinto, come detto, e in parte dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale oggi. Dopo la decisione delle Sezioni Riunite, toccherà alla Sezione di Controllo della Corte dei Conti della Campania esprimersi. E sarà disposto probabilmente il blocco della spesa, come già fatto nel 2018. Inoltre, potrebbero essere indicati ulteriori correttivi da seguire per il piano di rientro. Il Comune di Napoli, infatti, dovrà recuperare 1,1 miliardi di euro in più di disavanzo, in aggiunta a 1,7 miliardi già accertati, per un totale di 2,8 miliardi al 2017. In più, dovrà recuperare l'extradeficit che si è prodotto dal 2017 ad oggi, in quanto ha utilizzato oltre un miliardo di euro in più per coprire altre spese e investimenti che non avrebbe potuto fare. Palazzo San Giacomo non dovrà riapprovare tutti i bilanci dal 2017 ad oggi, precisa la Consulta, basterà un nuovo piano di rientro. Il disavanzo fino al 2015 potrà essere recuperato in 30 anni. Per quello successivo, andranno applicate le nuove leggi, che prevedono un massimo di 20 anni.
Lo spettro del dissesto, chi lo dichiara?
L'alternativa al blocco della spesa, che comporterà anche il blocco delle assunzioni, dei mutui e dei prestiti, nonché la decurtazione del 30% dell’indennità degli amministratori, è il default. Il dissesto può essere dichiarato dal Comune, per evitare il blocco della spesa, oppure può essere disposto dalla Corte dei Conti della Campania e dichiarato dal Prefetto a mezzo commissario ad acta. La procedura, se il Governo non interverrà con una legge ad hoc, potrebbe chiudersi nel giro di pochi mesi, forse 3 o 4.
Perché Napoli è sull'orlo del crac? Per i giudici c'è “inefficienza amministrativa”
Ma perché Napoli è in sofferenza finanziaria da 7 anni? Tra i vari motivi addotti dal Comune nel ricorso alle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, c'è la difficoltà di riscuotere le tasse locali. Sarebbe proprio questo uno dei motivi che avrebbero portato all'uso dell'anticipazione di liquidità per ridurre il disavanzo, “in ragione della ridotta capacità fiscale della popolazione”. Per la Corte Costituzionale, però, si tratta di un argomento “infondato”. “È del tutto evidente – scrive – che la capacità di escutere i debitori non dipende solo dalla situazione economica dei membri della collettività, ma anche e soprattutto dall’efficienza amministrativa dell’ente locale e dei propri uffici preposti alla riscossione”. “Un conto – aggiungono – è la misura del gettito, effettivamente legata alle condizioni socio-economiche del territorio, altro è la capacità di riscuotere i tributi, consistente in una percentuale di realizzazione del gettito stesso e strettamente collegata all’efficienza del sistema di riscossione”.
Il Comune: “Napoli più povera, il Governo ci aiuti”
Per il vicesindaco Enrico Panini, che ha la delega al bilancio, le difficoltà finanziarie di Napoli sono legate anche ai tagli ai trasferimenti di risorse dal Governo centrale alla città avvenuti in questi anni. “Al Comune di Napoli – scrive Panini – sono state sottratti, dall’anno di attivazione della procedura di riequilibrio (2012) a tutto il 2019, oltre 700 milioni di euro, modificando le condizioni in base alle quali il Comune aveva aderito al Piano di Riequilibrio mediante la sottrazione di risorse fondamentali per il rientro dal disavanzo. Il Comune, pur adeguandosi a tale pronuncia secondo tempi e modalità che dovranno essere definiti, ritiene indifferibile un immediato intervento legislativo al fine di colmare le disuguaglianze scaturite da una sentenza che non ha tenuto conto della peculiarità della anticipazione di liquidità e della armonizzazione contabile, in relazione al percorso di riequilibrio in corso di realizzazione”.
Per la Corte Costituzionale, però, l'incapacità di riscuotere le tasse locali e la scarsità di risorse per assicurare i servizi essenziali ai cittadini sono due cose diverse. “Fermo restando che una capacità di riscossione inferiore alla media nazionale è un problema prevalentemente organizzativo – scrive – diverso è quello legato all’insufficienza strutturale del gettito fiscale ad assicurare i servizi essenziali. In tal caso ben diversi sono i rimedi previsti dalla Costituzione per garantire interventi ispirati alla solidarietà. È in ordine al deficit strutturale imputabile alle caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio, e non alle patologie organizzative, che deve essere rivolto l’intervento diretto dello Stato. Le risorse necessariamente stanziate per tali finalità – proprio in virtù dei superiori precetti costituzionali – devono essere prioritariamente destinate dallo Stato alle situazioni di accertato squilibrio strutturale dei bilanci degli enti locali”.