Non è stato ancora reso pubblico nei dettagli, ma ha già provocato malumori e perplessità negli ambienti giudiziari. Il protocollo d’intesa per la promozione di progetti di lavoro di pubblica utilità, destinati a chi è in carcere, tra il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria campana e la Procura della Repubblica di Napoli reca la firma del 13 dicembre scorso ed è stato già diramato agli uffici di competenza coinvolti. Tutto tenendo fede all’articolo 27 della Costituzione, secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, e per evitare che la macchina della giustizia collassi a causa dei pochi ausiliari idonei, che sono presenti cioè in numero insufficiente rispetto alla mole di lavoro.
Un’opportunità concreta di reinserimento sociale e lavorativo, ma restano i dubbi sull’emergenzialità della convenzione – Ai detenuti verrà affidata la cosiddetta movimentazione, cioè il trasporto di atti e fascicoli nell’ambito di precisi iter operativi, individuati da un gruppo di lavoro congiunto delle amministrazioni contraenti e sottoposti all’autorizzazione del magistrato di sorveglianza. Sarà il Provveditorato campano a selezionare tra i reclusi presenti nei suoi istituti penitenziari quelli più validi a partecipare al progetto. Una best practice, quella messa in atto grazie alla collaborazione fra due soggetti istituzionali, per ridare dignità ad un terzo soggetto debole. Il quale, invece di essere lasciato tutto il giorno senza far nulla in cella, può acquisire una professionalità che potrà spendersi una volta terminata l’espiazione della pena. Nessuna critica, dunque, è stata mossa alle finalità di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, i dubbi da parte degli addetti ai lavori pongono altri tipi di riflessioni ed interrogativi.
“Perché si affidano fascicoli a detenuti, ma ad un lavoratore giudiziario si chiede l’essere immune da precedenti penali e se indagato, viene sospeso dal servizio?” – «La piena comprensione per il nobile fine del reintegro sociale, peraltro sempre al vaglio della magistratura di sorveglianza, soddisfa – si chiede Mario de Rosa, segretario regionale Confsal-Unsa, l’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa nel Ministero della Giustizia – gli standard di sicurezza richiesti dalla particolare tipologia dell’attività di una Procura, impegnata in più campi ma soprattutto nel contrasto alla criminalità organizzata? La movimentazione dei fascicoli verrà affidata a detenuti, cioè a soggetti in espiazione della pena a seguito di condanna definitiva. Né, a mio avviso, la conoscenza del contenuto di tale protocollo può rafforzare la fiducia, già a livelli molto bassi, del cittadino comune nella giustizia».
La preoccupazione è che, da una parte, in tempi di spending review si dimentichi la delicata questione della tutela della riservatezza e, dall’altra, si crei una disparità di trattamento. Due pesi e due misure. «Al detenuto si affidano fascicoli, ma a chiunque aspiri ad un impiego – spiega il sindacalista – si chiede, previa esclusione, l’essere immune da precedenti penali e, se nel corso del suo rapporto contrattuale è destinatario di una iscrizione nel registro degli indagati per fatti gravi, viene sospeso dal servizio e privato del 50% del salario. È successo ad un lavoratore giudiziario napoletano, sospeso e senza stipendio fino al termine del processo, pur senza essere stato destinatario fino ad oggi e a distanza di sei mesi di alcuna misura cautelare».
La carenza d’organico negli uffici giudiziari colmata con i progetti di lavoro di pubblica utilità previsti dalla legge per i detenuti, a titolo volontario e gratuito – La situazione è emergenziale, destinata ad aggravarsi per il progressivo pensionamento del personale ausiliario: i fascicoli aumentano, i rinforzi non arrivano e si rischia la paralisi del servizio. Da qui la necessità di promuovere iniziative, come il protocollo d’intesa, volte a reperire con urgenza aiuti esterni. Lo prevede l’articolo 20 ter della legge 354/75 che dispone la possibilità per i ristretti di “chiedere di essere ammessi a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’ambito di progetti di pubblica utilità, tenendo conto anche delle specifiche professionalità e attitudini lavorative”.
«La legittimità del protocollo è indubbia – ci tiene a sottolineare de Rosa -. Analoghe esperienze sono già presenti nei tribunali di Milano e di Roma, si inquadrano in quella politica giudiziaria, praticata sempre più frequentemente, di copertura dei vuoti di organico di talune qualifiche mediante la fruizione, a titolo gratuito o a basso costo, di unità lavorative con progettualità quali Alternanza scuola-lavoro o Garanzia giovani». Nel caso specifico si intende fronteggiare la grave carenza di personale ausiliario della Procura. «Ma – continua il responsabile sindacale – la responsabilità di eventuali errori, o anche omissioni, verificate a distanza di anni ricadranno poi sul personale di ruolo dell’amministrazione, come già abbiamo avuto modo qualche volta di constatare? Si decida lo Stato a procedere a nuove assunzioni o a trovare soluzioni che abbiano minor impatto anche emozionale».
“Così passa il messaggio che negli uffici giudiziari può lavorare chiunque senza aver studiato e vinto un concorso, la professionalità degli operatori del settore giustizia è bistrattata” – In attesa di un confronto tra i sindacati e i dirigenti amministrativi della Procura per chiarimenti sul tema, ad intervenire nel dibattito è anche il Comitato lavoratori giustizia. «Non contestiamo assolutamente il protocollo, di cui tra l’altro non conosciamo numeri o uffici interessati e che offre ai detenuti la possibilità di accedere ad un percorso professionale durante il periodo detentivo – commenta Anna Esposito, responsabile napoletana del Comitato -, ma va fatta una considerazione generale. Da diversi anni passa il messaggio che questo lavoro, che facciamo perché abbiamo studiato e superato un concorso, lo può invece svolgere chiunque. Reclutiamo ovunque, basta che ci danno una mano: no, così non va bene».
L’amarezza è forte. «E la nostra professionalità chi la difende? – continua Esposito – Una professionalità bistrattata sotto il punto di vista economico, della carriera, della gratificazione e del riconoscimento perché accomunata a quell’immagine decadente di pubblica amministrazione, dell’impiegato per antonomasia che non fa quello che dovrebbe. Eppure il nostro personale ha impedito il collasso dell’intero sistema, soprattutto negli anni passati, con la buona volontà, con l’attaccamento al lavoro, vincendo la resistenza al cambiamento, imparando ad usare i nuovi strumenti non previsti nei profili di partenza».
Il doppio carico di lavoro, cartaceo ed informatico, negli uffici giudiziari e la delicatezza dei compiti: “servono nuove assunzioni qualificate” – Insufficienza di personale, un turnover che penalizza le competenze e l’esperienza, formazione sporadica. «È vero che stiamo andando nella direzione della digitalizzazione – chiarisce Anna Esposito -, ma il fascicolo processuale cartaceo non è stato eliminato e non ne è prevista una dematerializzazione al 100%. Noi al momento andiamo avanti su un doppio binario, fascicolo cartaceo ed informatico. Eppure innovazione significa sostituire un procedimento ad un altro, noi invece aggiungiamo».
La denuncia è chiara. Non basta arrivare ad un punto di non ritorno per poi cambiare rotta, perché sarebbe già troppo tardi sul piano della qualità del servizio offerto. «Il protocollo – dice la referente del Comitato – risponde alla carenza di ausiliari giudiziari. Una figura specializzata perché non paragonabile all’ausiliario che lavora in un altro ente, in quanto bisogna conoscere le urgenze, la dislocazione degli uffici. Ci saremmo aspettati nuove assunzioni, che in questo caso è possibile fare anche attraverso selezioni dei centri per l’impiego. Non è bastato, quattro anni fa, l’arrivo di dipendenti da altri settori dell’amministrazione pubblica, persino i barellieri, che abbiamo dovuto formare e paradossalmente da cui siamo stati scavalcati. Si continua con misure emergenziali e temporanee».
L’appello dei dipendenti giudiziari – «L’utenza – ribadisce la portavoce del Comitato lavoratori giustizia -, sia quella qualificata come gli avvocati, sia le persone offese che hanno fatto una denuncia e hanno diritto di venire a chiedere informazioni, deve sapere chi ha di fronte. Un ex barelliere, un ex detenuto, un cancelliere, un tirocinante. Parliamo di qualità del servizio e dobbiamo puntare ad elevarla. Nulla contro il detenuto che deve reintegrasi o l’ex barelliere che ha salvato vite, ma appare chiaro che adesso la mancanza di rispetto è soprattutto nei confronti dell’utenza».