Gianni Simioli, 10 anni con La Radiazza, uno senza Loredana
È impossibile ridurre a una definizione il prezioso lavoro che Gianni Simioli restituisce alla città di Napoli e alla Campania. Con “La Radiazza”, in onda da dieci anni su Radio Marte anche nei giorni della pandemia, offre un racconto quotidiano che fa quasi servizio pubblico per chi si mette in ascolto. Mischia alto e basso sempre con lo stesso registro e dà spazio e parola a tutti. Si potrebbe definire forse un “traghettatore” culturale, ma forse anche questo termine finirebbe per stargli stretto. Quando lo chiamiamo, ha da poco rivelato l'identità del benefattore anonimo che, proprio attraverso il suo programma, ha regalato lo scooter a Sasy, il ragazzo rapinato nella notte della Coppa Italia, ovvero Lorenzo Insigne.
Gianni, partiamo proprio dalla storia di Sasy e dello scooter regalato da Lorenzo Insigne.
La cosa fantastica è che Sasy quando ci ha raccontato tutto, aveva detto di non essere più interessato al fatto che gli avessero rubato il motorino. Era solo felice che il Napoli avesse vinto la Coppa Italia. Così, quando è finita la puntata mi chiama il suocero di Insigne: “Lorenzo gli ricomprerà il motorino”. Il Capitano ha un cuore d’oro.
Da dieci anni, La Radiazza è diventata un punto di riferimento per Napoli e per la Campania. Non vi siete mai tirati indietro nemmeno durante la pandemia.
L'editore mi propose di andare in smart working per cautelarmi, ma mi sono rifiutato subito. I miei collaboratori sono stati in smart, per sicurezza, ma è come se fossero stati tutti in redazione con me. Abbiamo lavorato tutti il triplo e con piacere. Un programma come il nostro, così legato al territorio, non poteva fermarsi perché i napoletani avevano bisogno di noi in quelle giornate. Abbiamo fatto un lavoro straordinario di assistenza, quasi servizio pubblico, abbiamo messo in contatto la gente con i medici, con i virologi, abbiamo ascoltato i nostri corregionali che stavano all’estero piuttosto che a Codogno e in giro per l’Italia. Abbiamo fatto beneficenza per chi si è ritrovato senza nulla. Le tre ore del programma erano quasi tutte esclusivamente destinate a questo.
Il 26 giugno è un anno che Loredana non c’è più.
Eh. (dopo un lungo silenzio, si riprende ndr.). Uscirà un video, un pezzo rap sul quale lei aveva lavorato tanto prima di morire. Lei ha lavorato molto sul senso di vergogna, la vergogna di essersi ammalati, di perdere i capelli, di non avere più un corpo presentabile. Loredana ci teneva tantissimo a dare un messaggio in questa chiave. Un tema che lei già aveva affrontato in quel video “Io non ho vergogna”.
È un’operazione alla quale stai lavorando da tempo?
Assolutamente no. Io fino a poco tempo fa ho rifiutato ogni tipo di operazione su Loredana. Ancora oggi non accetto l’idea di un anniversario. Hanno fatto tutto Maurizio Piretti, un grande amico mio e di Loredana, e Mario Pelliccia. Io ho solo chiesto alle figlie di Loredana l’ok per fare questa operazione. Poi però non ho voluto lavorare direttamente alla cosa.
Loredana disse in una intervista che se non fosse stato per te non avrebbe fatto mai l’attrice.
Ma lei era una tipa incredibile, non è vero, sarebbe diventata un’attrice lo stesso. Pensa che a 12 anni scrisse una lettera a Monica Vitti in cui chiedeva se poteva essere adottata.
E Monica rispose?
Non ha mai risposto. Ma Pappi Corsicato pure ricevette una lettera da una certa Loredana Simioli e Pappi, che io conoscevo, mi disse: “Ma tu hai una sorella che si chiama Loredana?”. E lo stesso capitò anche con Peppe Lanzetta. (dopo un sorriso, ndr) Da quando non c'è più è come se avessi perso un braccio, una parte di me. Io non sono più quello di prima, questo mi è chiaro. Vedo le cose in un’altra maniera, so che ora sta meglio, so che devo sorridere perché lei non apprezzerebbe la mia malinconia ma è così. Io mi domando perché una persona che può dare ancora tantissimo ai suoi figli, alla sua famiglia, all’arte, debba finire all’improvviso in quel modo.
Il personaggio di Mariarca resterà nella storia della comicità femminile napoletana.
Mariarca era portatrice di un valore sociale. Quando Loredana faceva Mariarca non era solo un'attrice comica, era una maschera. Mariarca era un mondo, quello delle donne popolari della città. Oggi c’è chi prova a imitare Mariarca, ma resta appunto una imitazione fine solo alla battuta e a nient’altro.
Dicevamo di cronaca e non solo, tanta musica, sempre campano-centrica. Tra i tanti, stai riscoprendo e recuperando la figura di Patrizio.
Io ho grandi progetti su Patrizio perché la sua vita sembra scritta da chi ha scritto le stesse vite di Jim Morrison, di Amy Winehouse e altre superstar maledette. Una vita da star la sua, durata il tempo di una fiammata. Quelli come lui tolgono subito il disturbo perché di più non possono fare. Così, ogni giorno passiamo “Una discoteca al mare”, per noi è la sigla dell’estate. Voglio farne il tormentone campano dell’anno, deve battere anche Takagi e Ketra e Boomdabash. Senza modifiche, l'ho fatta solo rimasterizzare. Ora mi scrivono anche da Ibiza, mi hanno detto che apriranno le serate proprio con questa canzone.
Patrizio, per chi non lo conoscesse, era il cantante neomelodico prima che arrivassero i neomelodici.
Patrizio ha reinventato il cantante napoletano che oggi si chiama neomelodico. Prima di lui il fenomeno era semplicemente spento. Non esisteva. Con Patrizio abbiamo assistito per la prima volta a Napoli alle fan che andavano sotto al palco per strapparsi i capelli. Nelle feste di piazza volavano le mutandine sul palco, un po’ come succedeva per i Duran Duran. Grazie a lui sono venuti fuori gli altri, anche Nino D’Angelo. Nino, per sua stessa ammissione disse che se non fosse morto Patrizio, lui non sarebbe mai diventato Nino D’Angelo.
Poi la morte nel 1984 per overdose. Fu trovato nella sua auto nel quartiere di Barra.
Patrizio era una persona molto fragile. Lui non ha saputo gestire tutto quel successo. Non ha saputo gestire le cattive amicizie. Parliamo di uno che all’epoca era famoso quanto Maradona, a Napoli. Aveva i suoi giri e i suoi vizi. Certe volte diventiamo proprietà di alcuni che sanno come gestire la tua testa e manipolare il tuo vissuto. L’artista diventa artista perché vuole essere accettato, vuole il riconoscimento di una enorme immensa famiglia che è il pubblico. C’è chi si approfitta di queste personalità e questo è quello che è successo a Patrizio.
La Radiazza mischia costantemente registro alto e basso, Patrizio e Raffaele Viviani, Patroni Griffi e Mario Merola.
Io mi sento, non lo so, un traghettatore, uno che da un po’ ha deciso di portare certe cose alla sua gente. Cose che le sono sempre state negate. Parlo semplice, cerco di essere facile e attraente anche agli occhi più distratti e poco abituati alla cultura o a un tipo di musica differente. Sento una missione, quella di far sapere a chi non sa. La spaccatura enorme che c’è in questa città deve essere risolta in qualche modo. Non la colmerò io, ma almeno voglio lavorare per questo. La gente che segue il mio programma, io mi illudo che cambi canale quando faccio le cose pesanti, ma è esattamente il contrario. La mia più grande soddisfazione è quando mi scrive chi non conosceva una poesia di Patroni Griffi piuttosto che un pezzo di Marco Zurzolo. C’è bisogno di questo. La gente ha fame di conoscenza. C’è chi mi ringrazia per aver scoperto Raffaele Viviani, i Napoli Centrale, i Foja. Quando mi scrivono “Io ho sempre sentito Tommy Riccio ma con te ho scoperto Daniele Sepe”, io sento di aver vinto. E anche viceversa. C’è gente che in questi giorni mi dice: “Sei stato capace di farmi scoprire Patrizio, ho pianto ascoltando Tengo vint’anne”. Questa è la Radiazza, questo sono io.
Stai lanciando da un po' di giorni ‘O frat’d'o Quiz”. Di che si tratta?
È il ritorno di un genere televisivo, ma soprattutto radiofonico, incentrato esclusivamente su temi meridionali e campani. Mi sono reso conto che spesso non si conosce abbastanza di questo territorio bellissimo, delle sue usanze, le sue tradizioni, la musica. Lo consideriamo come il fratello piccolo e sfortunato dei grandi quiz: ‘o frat'd'o Quiz, appunto, che poi sarei io.
Ora ti lancio una provocazione perché mi interessa la prima risposta: Francesco Emilio Borrelli, sindaco di Napoli.
Potrebbe farlo, certo. Io sono un suo amico fraterno e gli amici fraterni non si tradiscono e si parlano sempre con verità. Per questo quello che gli ho suggerito è di non stare sempre a sottolineare solo le brutture della nostra città. Perché siamo permalosi noi napoletani al punto da accettarne le ombre e le luci.
E quindi?
E quindi Napoli non ha bisogno di qualcuno che gli ricordi costantemente che tipo di città è. Ha bisogno di chi i problemi li risolve. Noi napoletani di fronte agli esempi positivi sappiamo come fare per essere più civili e più attenti. Se c’è chi ci ricorda tutti i giorni che siamo delle chiaviche, diventiamo ancora peggio.
In definitiva, Borrelli può diventare un giorno sindaco di Napoli?
Secondo me lo può fare il sindaco. Lui sta studiando in quella direzione e sono certo che un giorno o l’altro, possa diventarlo.
Anche quest’anno c’è il Premio San Gennaro, che piano piano è diventato un riferimento culturale di questa città. Ci dai qualche anticipazione?
I premiati di quest’anno saranno Paolo Ascierto e tutti gli infermieri del Cotugno, poi premieremo Lapo Elkann.
Perché Lapo Elkann?
Perché il suo modo di essere è da napoletano vero. A San Gennaro sarebbe piaciuto questo ragazzo di una famiglia così tanto importante, cresciuto con schemi che ha saputo rifiutare, commettendo anche enormi errori dovuti alla sua bontà, io lo trovo pazzescamente vicino alla nostra città. La nonna, Caracciolo, gli ha instillato l’amore per Napoli. Poi ha fatto operazioni importanti per Napoli anche dal punto di vista economico con la sua fondazione, donando cibo e abiti per i bambini nei giorni del Coronavirus.
Oggi c’è Made in Sud sulle reti nazionali, pronipote di quel concetto di comicità esportato da Telegaribaldi, che tu ereditasti da Lino D’Angiò e Alan De Luca, e con la tua gestione ha permesso di creare quelle condizioni che hanno portato una generazione di comici meridionali a fare quello step che mancava.
Tu mi fai una domanda così articolata, per dire che dal mio Telegaribaldi siamo arrivati a Made in Sud?
Esatto, sì.
E io ti rispondo: per piacere, non darmi questa responsabilità perché altrimenti Nando Mormone, patron di Made in Sud, continuerà a non salutarmi.
Perché?
Non lo so perché, ma pare sia così. Comunque, io sono molto contento dell’apertura alla musica del sud da parte del programma. Della cosa ne avevamo discusso proprio insieme, io e Nando Mormone. Gli chiesi perché non facciamo assieme un Made in Sud della musica? Non se n’è fatto più nulla.
Ma c’è stato qualche screzio con Nando Mormone?
Ma no, solo che una mattina in radio mi permisi di dare un consiglio a Fatima Trotta, ovvero di rilassarsi di più quando era in scena. Nando si risentì moltissimo. Ma con Fatima ho chiarito, perché il mio era un commento senza malizia. Ora sta andando alla grandissima.
E Stefano De Martino?
È il ragazzo napoletano a cui tutti i ragazzi napoletani dovrebbero ispirarsi. Si aspettavano che finisse nel tritacarne dei tronisti, di quel lelemorismo che non c’è più. Stefano sta studiando e deve essere utilizzato come esempio. Partire da zero e con il rigore e l’applicazione diventare quello che sta diventando. Entro dieci anni gli faranno fare Sanremo.
Ecco, entro dieci anni, come si vede invece Gianni Simioli?
Spero di fare un po’ di soldi così mi tolgo dalla scena perché non mi sopporto proprio più.
Addirittura?
Si, perché ho fatto di tutto in questa città. Potevo avere di più se fossi andato via, se fossi andato a Milano. Ma è stata una scelta mia, io non sarei mai riuscito a tenere quei ritmi. Io sono uno che quando finisce di lavorare deve tornare a casa, essere libero di stare in famiglia o con gli amici. Vivere pensando solo alla carriera non ha mai fatto per me. A questo punto mi vedo come un bravo produttore. Il mio sogno è questo. Appena avrò i soldi, e prima o poi li farò, mi dedicherò a lanciare i giovani.
Sempre a Napoli?
Sempre. Il mio ufficio sarà presso lo scoglione di Marechiaro. E lì che mi troverete, con un gin tonic in mano.