Vivo a Napoli da quattro mesi e mezzo. Di questa città mi sono rapidamente e profondamente innamorato. Multiforme, romantica, viva. Un tesoro culturale e naturale. Un'umanità caleidoscopica in eterno conflitto con se stessa, alle prese con un cambiamento lungo, faticoso e profondo.
Un conflitto che ho vissuto in prima persona venerdì notte quando, nella centralissima piazza Bellini, ho sventato il furto della mia moto. Era l'una e mezza e stavo tornando al mio mezzo, parcheggiato dove non si può, perché di spazi per le moto non ce ne sono.
"E' tua questa moto? Te la stanno rubando" mi dice un ragazzo, Gennaro, l'unico che ha notato due ragazzi armeggiare vicino al mezzo, e si è in qualche modo preoccupato. Io non capisco, non so di chi stia parlando, non vedo nessuno. "Sono ancora qui", aggiunge.
La moto è stata spostata in strada, sbattuta a terra per spaccare il bloccasterzo che è saltato senza troppa fatica. È una Yamaha 660 XT comprata di seconda mano per 2500 euro, è la mia moto, come diceva Alex Drastico, e ci sono affezionato, tanto che le ho dato anche un nome, Michelle.
Ancora sotto choc, mi siedo vicino a Michelle che nella caduta ha perso anche uno specchietto che non ho più ritrovato. L'hanno messa lì a bordo strada, pronta a essere portata via. L'ultima difesa è un bloccadisco, di quelli abbastanza economici. Un ultimo strattone, un ultimo colpo, un'ultima violenza e sarebbe saltato. Poi l'avrebbero portata via.
Mentre sono lì, seduto su un gradino, a masticare amaro e a chiedermi perché, tornano. Sì i due ladri, a bordo di uno scooter, uno nascosto da una sciarpa, l'altro a viso scoperto, sono tornati lì. Davanti a me.
"E' tua la moto?" ha avuto la faccia tosta di chiedermi quello che guidava. Io lo guardo. Non capisco. Non so cosa dirgli. Mi sembra assurdo, diverse pattuglie della polizia sono a meno di dieci metri. Mi sembra che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato, e non perché sono di Padova.
In quel momento mi viene in mente che avevo dato anche 2 euro al parcheggiatore abusivo che non me li aveva chiesti. Li aveva pretesi. E io ho pagato, perché si fa così a Napoli, è normale.
Mentre guardo colui che sta provando a rubarmi la moto sono attonito. "Tutto apposto" mi dice e alza il pollice. Quanta strafottenza.
Il complice nel frattempo scende dal mezzo, si avvicina, e raccoglie la borsa con gli attrezzi che sarebbero serviti a far saltare il bloccadisco. Poi Michelle l'avrebbero semplicemente spinta via, senza neanche metterla in moto. Magari senza casco. Perché tanto chi se ne accorge? Chi ti dice niente?
"Sei stato fortunato". Questo mi hanno detto poi. "Hai fatto male a dirgli che la moto era tua, perché potevano rapinarti le chiavi. Quelli quando si mettono in testa una cosa, se la prendono". E poi: "Ma anche tu, lo sai che non ci puoi andare in centro storico con la moto".
Eh no. Questa cosa non bisogna accettarla. Per quanto realisti, ragionare così vuol dire accettare, abituarsi, normalizzare. Le moto le rubano a Napoli, come a Milano, come a Roma, non è questo il punto. Il punto è che, da napoletani, mi ci metto in mezzo perché questa è la città in cui ho deciso di vivere e che amo, dobbiamo alzare il livello di indignazione. Davanti a questa sfida che Napoli sta giocando contro se stessa, attraverso di noi, dobbiamo sapere bene da che parte stare. Partendo dalle cose più piccole e banali.
Proprio nella stessa piazza, il week end precedente, sempre in moto, avevo fatto un piccolo tratto contromano, per non lasciare Michelle troppo isolata (di tentativi di furto ne ho sventati altri due in questi quattro mesi). Un poliziotto mi vide e, anche se ero a motore spento, giustamente mi redarguì: "Ma che figura ci facciamo?", riferendosi ai tanti turisti presenti in una delle piazze più allegre e gioiose della città.
Aveva proprio ragione quell'agente: ma che figura ci facciamo?