Investito e ucciso a Secondigliano, per i giudici non fu vendetta ma un incidente
Non fu vendetta, ma un incidente. Il processo sulla morte di Fabio Giannone, morto nell'aprile 2016 a soli 21 anni, fa registrare un nuovo capitolo: la corte d'assise d'appello di Napoli ha completamente ribaltato la sentenza di primo grado, nella quale erano stati condannate tre persone a trent'anni di carcere dopo che la Procura aveva loro contestato l'ipotesi di omicidio premeditato aggravato dai futili motivi. Ma il verdetto della corte d'appello ha stravolto tutto, ed ora per mettere la parola fine ad una vicenda giudiziaria che si trascina ormai da tre anni e mezzo bisognerà probabilmente attendere la corte di Cassazione.
I tre imputati, Vincenzo D.L., Pasquale P. e Simone S., secondo l'accusa uccisero volontariamente Fabio Giannone, cercando di mascherarlo come un incidente stradale, per vendicarsi nei confronti del giovane. Ma in secondo grado, questa tesi è parzialmente caduta: secondo i giudici, se omicidio ci fu sarebbe stato non volontario ma preterintenzionale, ovvero senza la volontà diretta di ucciderlo ma in conseguenza della volontà di ferirlo e ad una situazione sfuggita loro di mano.
L'ipotesi vendetta dopo un pestaggio
La causale sembra invece ormai essere chiara: Fabio Giannone e Vincenzo D.L., inizialmente amici, avevano visto il proprio rapporto deteriorarsi dopo che il secondo aveva danneggiato con alcuni petardi una vetrina di un negozio di proprietà del parente del primo. A quel punto, lo stesso Giannone avrebbe organizzato una vera e propria spedizione punitiva nei confronto dell'ormai ex-amico assieme ai fratelli, finito con un pestaggio tale che provocò a Vincenzo D.L. anche la perdita della funzionalità di una gamba: era il 2015.
Da qui, il movente di quanto accaduto il 10 aprile 2016 in via Vittorio Emanuele III a Secondigliano: Vincenzo D.L., assieme a due amici, avrebbe organizzato secondo l'accusa la ritorsione nei confronti dell'ex-amico, culminata poi con la morte di Giannone. Dalle immagini di alcune telecamere di videosorveglianza, emerse che alla guida della Citroen che investì in pieno il ciclomotore con a bordo Fabio Giannone c'era proprio Vincenzo D.L., con Simone S. seduto al lato passeggero e Pasquale P. che invece era dietro di loro con un'altra auto, pronto a recuperarli. Secondo la tesi della Procura, sempre Vincenzo avrebbe fermato la marcia dopo l'impatto per passare sopra al corpo di Giannone più volte e finire così l'ex-amico.
I verdetti della Corte d'Assise
Tutti e tre furono condannati il 29 settembre 2017 alla pena di 30 anni di reclusione, ma in appello, venuta a cadere l'ipotesi di omicidio volontario, diventato preterintenzionale secondo i giudici, i tre hanno avuto sconti sensibili di pena: 19 anni e 8 mesi per Vincenzo D.L., mentre per Simone S. la condanna è scesa a 17 anni, con Pasquale P. che invece si è visto ridurre la pena a 14 anni di reclusione.