Sono seduto nello stesso posto in cui, un anno fa, scrissi che non ci credevo, che non era possibile. Invece Pino Daniele era morto veramente. Un anno dopo, non ci credo nemmeno ora, devo invece spiegare che Pino Daniele è vivo un'altra volta. È rinato un anno fa a Napoli, in una piazza Plebiscito di gennaio piena di persone che cantavano e riempivano con la musica e le parole un vuoto artistico e culturale.
Pino Daniele è tornato a Napoli che se l'è ripreso con un po' di prepotenza e una marea di ricordi e riferimenti. Ho ascoltato decine di aneddoti sul "Pinotto" dei Tribunali; ho sentito persone cantare le sue canzoni a Roma, a Milano, a Madrid, a L'Avana; in metropolitana, sull'autobus, a pùntone ‘e stu vico. Sono state pubblicate biografie, ricordi, fotografie, documentari: la prossima volta che vedremo il manifestarsi di un ricordo collettivo così chiaro all'ombra del Vesuvio sarà probabilmente all'indomani della morte di Diego Armando Maradona.
La mia generazione che l'aveva amato alla follia, forse anche più di quella precedente – il motivo è che passano gli anni e ci resta sempre meno, ci attacchiamo a quel poco che rimane – si era negli anni recenti un po' distaccata. Scelte musicali non ‘in linea' col classico che avevamo già metabolizzato (ma non sempre assimilato), cristallizzato e ahimé in parte trasformato in stereotipo. E poi una distanza fisica e qui ci sarebbe da dire sul come si guarda (meglio? Peggio?) la città che «a sape tutt ‘o munno ma nun sanno ‘a verità» da lontano. Non abbiamo ceduto all'idolatria ma quando c'è stata la chiamata abbiamo sempre risposto: stadio, palazzetto, piazza. Abbiamo digerito il Gelato all'Equatore per ascoltare Invece no; Che male c'è, che c'è di male, in cambio di Quanno Chiove. Abbiamo trovato un equilibrio con una realtà che non ci piaceva né ci rappresentava e che però rispettavamo. Noi, sì noi fan.
Ha la mia età – del 1977 – uno straordinario documento, una intervista radiofonica di un Pino Daniele 21enne a una radio libera. «Voglio cantare una Napoli non folkloristica» diceva. A un certo punto, probabilmente conscio della possibilità di restare ingabbiato artisticamente e culturalmente, Pino Daniele ha avviato questa cesura. Che come tutti i tagli, prima o poi ritrova una sua unità fra i due lembi. L'anno in cui Pino Daniele è tornato a Napoli – e non c'entra niente il funerale – è stato quello in cui la memoria è diventata collettiva e condivisa, ci siamo sciolti al Plebiscito guardandoci in faccia: «Guagliò, te piace pure ‘a te Pino Daniele?». Ora c'è una strada minuscola che lo ricorda, al centro di Napoli tra i suoi vicoli. Pensavo fosse necessario un riconoscimento più imponente, mi sbagliavo. È fra i carrozzieri, un bar e una officina grafica a Santa Maria la Nova. Tra il lavoro faticato e sudato, la tazzulella che ristora e la fantasia che prende forma. E tutto il resto, usando le sue parole ai concerti «è solo sentimento».