"Cancro, tumore, malattia… ja schiattà!". La frase, urlata alla maniera di Mariarca la vrenzola di Telegaribaldi, dalla grossa balconata dell'ospedale Cardarelli di Napoli fu un urlo liberatorio cui si associarono infermieri e medici. Loredana Simioli che gridava contro il tumore che la aggrediva è morta, la battaglia sembrerebbe, dunque, perduta. E il video girato nel reparto di oncologia, seduta sulla poltrona della chemio, inutile.
Chi fa battaglie insegna: si sotterra il seme, lo si coltiva e innaffia: i frutti arriveranno ma dopo. E forse non saremo noi a coglierli e mangiarli. Ci vuol coraggio a mostrarsi in video e in foto o sui social network a poco più di quarant'anni, da attrice spumeggiante, da donna bella, sorridente, suadente, a "malata di cancro" con tanto di parrucca per i capelli caduti durante la terapia, col volto scavato dal male. Ci vuole il doppio del coraggio se poi in questa condizione si vuole infonderne agli altri, cercando di strappare un sorriso, di imbastire un piccolo show coi medici e gli infermieri di un ospedale allo scopo di far sentire meno solo chi a causa della malattia si sente un appestato, un abbandonato. Ci vuol coraggio a sorridere da sani, in questo mondo, figuriamoci con un tumore in corpo. Per questo "Io non ho vergogna" di Loredana Simioli è una piccola eredità pubblica dell'attrice napoletana morta a 45 anni. Altre eredità, quelle personali, saranno sicuramente ben custodite dalle figlie di Loredana e dagli altri affetti più cari, in primis dal fratello Gianni.