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Magma sotto l’Appennino tra il Sannio e il Matese: “Rischio sismico elevato”

A rivelarlo è uno studio condotto dall’Ingv, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, e dall’Università di Perugia: studiando uno sciame sismico anomalo risalente al 2013-2014, i ricercatori sono riusciti a capire che la causa è da riscontrare nella risalita del magma sotto l’Appennino Meridionale, in un tratto compreso tra il Sannio e il Matese. Questo vuol dire che, soprattutto in quella zona – tra le province di Benevento e Caserta – il rischio sismico è molto elevato.
A cura di Valerio Papadia
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Il rischio sismico in Campania è molto elevato: a dichiararlo, uno studio condotto dall'Ingv – l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – e dal Dipartimento di Fisica e Geologia dell'Università di Perugia, dal titolo "Seismic signature of active intrusions in mountain chains", pubblicato sulla rivista Science Advances. I ricercatori hanno scoperto una forte presenza di magma sotto l'Appennino Meridionale, nel tratto compreso tra il Sannio e il Matese, che farebbe aumentare esponenzialmente il rischio di terremoti tra le province di Benevento e Caserta (e, ovviamente, anche in Molise, interessata anch'essa dalla presenza del Matese).

La ricerca prende le mosse dallo studio di una sequenza sismica anomala verificatasi nella zona tra il 2013 e il 2014: i ricercatori hanno osservato che quei terremoti sono stati innescati da una insolita risalita di magma nella crosta tra i 15 e i 25 chilometri di profondità. I dati raccolti mostrano che i gas rilasciati da questa intrusione di magma sono costituiti prevalentemente da anidride carbonica, arrivata in superficie come gas libero o disciolta negli acquiferi di questa area dell’Appennino.

"Questo risultato” spiega Guido Ventura, vulcanologo dell’Ingv “apre nuove strade alla identificazione delle zone di risalita del magma nelle catene montuose e mette in evidenza come tali intrusioni possano generare terremoti con magnitudo significativa. Lo studio della composizione degli acquiferi consente di evidenziarne anche l’anomalia termica". Francesca Di Luccio, coordinatrice del progetto insieme a Ventura, aggiunge: "I risultati fin qui raggiunti aprono nuove strade non solo sui meccanismi dell’evoluzione della crosta terrestre, ma anche sulla interpretazione e significato della sismicità nelle catene montuose ai fini della valutazione del rischio sismico correlato”.

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