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Morta per una trasfusione di sangue infetto nel 1974, lo Stato deve a risarcire 700mila euro

Il Tar ha riconosciuto un risarcimento di 695mila euro (circa 170mila euro compresi interessi e rivalutazione a testa) agli eredi di una donna napoletana, contagiata dal virus HCP con una trasfusione avvenuta nel 1974. Il Tribunale ha sentenziato che il ministero della Salute è responsabile in quanto, seppur non fossero conosciuti i virus dell’epatite virale, era già possibile rilevare indirettamente la loro presenza analizzando il fegato.
A cura di Nico Falco
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Immagine di repertorio
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La II sezione del Tar Campania, con sentenza dell'8 luglio 2020, ha obbligato il ministero della Salute a risarcire con 695mila euro gli eredi di una donna napoletana, ammalatasi dopo una trasfusione di sangue infetto che le era stata praticata nel 1974 durante la degenza all'ospedale Loreto Mare di Napoli per taglio cesareo e deceduta nel 2013 per epatocarcinoma e insufficienza renale. I familiari della donna avevano conferito nel 2014 l'incarico all'avvocato Maurizio Albachiara, che sulla scorta delle risultanze della Commissione medica ospedaliera di Caserta, che riconosceva l'Una Tantum ai sensi della legge 210/92, aveva avviato il procedimento di responsabilità nei confronti del ministero della Salute presso il Tribunale di Napoli.

La donna aveva ricevuto la trasfusione nel 1974, ma soltanto 25 anni dopo, nel 1999, in seguito ad esami medici era risultata positiva al virus HCV, quello dell'epatite C; successivamente le sue condizioni di salute erano peggiorate, si era sviluppata una cirrosi e nel 2013 la donna era deceduta. Il Tribunale di Napoli ha accolto le domande degli eredi con sentenza del 3 aprile 2018, in quanto, seppur nel 1974 il virus HCV non era ancora conosciuto, il ministero della Salute va considerato responsabile perché dalla fine degli anni '60 era possibile individuare la presenza di virus collegati esaminando il fegato; il Ministero è stato condannato a pagare circa 170mila euro, compresi di interessi e rivalutazione, per ognuno dei quattro eredi, per una somma complessiva di 695mila euro.

“In caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, – ha deciso il Tribunale – sussiste la responsabilità del Ministero della salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all'apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988), atteso che già dalla fine degli anni '60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all'anno 1958, l'obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi”.

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