Schiavone jr è pentito: ecco i segreti dei Casalesi che potrà raccontare ai magistrati
Raccontano che quando era alle scuole medie, guardava i giornali con le foto del padre in prima pagina, leggeva il racconto di stragi e omicidi, e poi diceva di non essere un suo parente, di non conoscerlo neppure. Voleva essere un bambino come gli altri, con un cognome ingombrante eppure tanto comune a Casal di Principe e dintorni, così da poter sperare, in cuor suo, in una sorte di anonimato. È durata fino all’adolescenza, fino alla primissima giovinezza, fino all’ultimo arresto di Francesco Schiavone, il boss conosciuto come Sandokan, l’11 luglio del 1998. Quel giorno, quando fu chiaro a tutti che il capo dei Casalesi non sarebbe uscito mai più dal carcere, Nicola Schiavone, il primogenito, decise di sostituirsi al padre e di diventare lui il capofamiglia, lui l’erede, lui il capoclan. Si fece crescere la barba, scelse la montatura Lozza per i suoi occhiali, così da assomigliargli anche fisicamente. Era vent’anni fa, Nicola ne aveva diciannove, i fratelli più piccoli – quattro maschi e due femmine – troppo vivaci e indisciplinati. E fu qualche mese dopo, a marzo, che sperimentò per la prima volta la sua autorità. Accadde quando fu chiamato dagli amici e accompagnatori del fratello Walter per un brutto incidente al Mac Pi del liceo Amaldi, a Santa Maria Capua Vetere. In una lite tra due comitive ci scappò il morto, Carlo Amato, ucciso da una coltellata. Nicola Schiavone arrivò, portò via Walter e i suoi amici, Carlo Amato rimase a terra e inutilmente chi rimase cercò di depistare le indagini e coprire i responsabili. Si seppe tutto e subito, anche se per le prove ci fu bisogno di molti anni ancora. Tre mesi dopo fu ucciso il guardaspalle, Michele Della Gatta, un ragazzo come gli altri ma già fedele alla causa del clan.
Da allora è stato un crescendo: estorsioni, affari, regolamenti di conti, investimenti all’estero, omicidi, un matrimonio, i due figli, l’arresto, le condanne al carcere a vita, la confisca della villa (abusiva) arredata con mobili di lusso e con un certo gusto narcisistico per l’autocelebrazione. Tra chaise-longue e comodini in foglia d’oro, anche la riproduzione in formato maxi di un imperatore (o forse un condottiero) romano. Fino al ventesimo anniversario dell’arresto del padre, ergastolano e detenuto al 41 bis. Perché Nicola Schiavone, classe 1979, diplomato e una laurea mai conseguita in Giurisprudenza, un amore viscerale per i computer e la tecnologia, ha saltato il fosso e chiuso una stagione. Ha deciso di collaborare con la giustizia, di confessare ciò che già si conosce, ciò che gli investigatori hanno solo intuito, ciò che neppure si è immaginato. Se le sue dichiarazioni troveranno riscontri e saranno provate, sarà davvero la fine del clan dei Casalesi, di quel clan nato dalle ceneri della Nuova Famiglia di Antonio Bardellino e che abbiamo conosciuto attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, confessioni di pentiti, sentenze.
Le scommesse
Una crepa insanabile nella famiglia Schiavone, una svolta nella quale nessuno sperava più. E sarà lungo e pesante il lavoro dei carabinieri di Caserta e dei magistrati della Dda di Napoli, che dovranno raccogliere le confessioni, verificarle e trasformarle in prove da portare in tribunale.
Vent’anni di carriera criminale costruita passo dopo passo ampliando ed espandendo il core business della ditta di famiglia. È stato lui, il giovane Nicola, a industrializzare il reparto giochi e scommesse. Dalla costiera romagnola, dove una quindicina di anni fa aveva trasferito parte i suoi interessi, ha messo a frutto la sua anima da nerd trasferendo le piattaforme online in Romania e sperimentando nuove piazze per il riciclaggio degli imponenti guadagni. Nel 2005 i carabinieri del Ros trovarono le tracce dei suoi investimenti anche a Malta, individuando un broker italiano che probabilmente era il suo prestanome. Un anno fa, un’inchiesta del settimanale L’Espresso evidenziò i rapporti tra Nicola Schiavone e tale Bruno Tucci a cui si era arrivati per un caso fortuito. Il figlio di “Sandokan” aveva perso il portafogli in strada. Tra banconote, scontrini e qualche foto di famiglia c’era anche un biglietto da vi-sita, quello di Tucci.
Affari e politica
Ma il cuore, il suo cuore, era rimasto solido e forte a Casal di Principe, dove mai aveva abbandonato gli interessi soliti dell’organizzazione. Le estorsioni, dicevamo. Ma anche il controllo degli appalti, passo dopo passo fino a monopolizzare il comparto in un’area del Casertano poco coltivata dagli investigatori: la piana del Volturno fino all’alto casertano. E poi gli accordi con la politica: del suo paese, dove si vuole abbia determinato l’elezione del sindaco Cipriano Cristiano, funzionale – recita l’accusa – all’operazione “Il Principe”. Perché, così è scritto nella sentenza di primo grado, il centro commerciale progettato ma mai realizzato, era un affare della famiglia Schiavone. Dice la stessa sentenza, un affare per la cui realizzazione era indispensabile l’intervento di Nicola Cosentino, parlamentare di Forza Italia e poi sottosegretario all’Economia, condannato in quello stesso processo a cinque anni di reclusione. Le confessioni di Nicola Schiavone entreranno nel giudizio di appello, non ancora iniziato, e potranno rafforzare o ribaltare il quadro accusatorio.
L’omicidio eccellente. Era lui, il giovane capo del clan, a definire le strategie del cartello casalese al tavolo con le famiglie Bidognetti, Iovine e Zagaria. C’era lui alla guida della sua famiglia quando, alla vigilia della sentenza di appello del processo Spartacus, fu dato l’incarico a Giuseppe Setola perché guidasse l’ala militare e la riscossa del clan attraverso la strategia del terrore. Era lui il re incontrastato di Casal di Principe quando il primo giugno del 2008 fu ammazzato Michele Orsi, imprenditore dei rifiuti, competitor della Ecocampania di Nicola Ferraro nella gestione della raccolta, uscito vittorioso nella gara per il controllo del consorzio CE4. Ferraro, ex consigliere regionale e, all’epopca, coordinatore provinciale dell’Udeur, condannato (sentenza definitiva) per concorso esterno, è considerato uomo vicino alla famiglia Schiavone. Oreste Spagnuolo, che per cinque mesi era stato al fianco di Setola negli omicidi e nelle stragi, da collaboratore di giustizia rivelò: “Michele Orsi fu massacrato per fare un regalo del clan Schiavone ad un altro imprenditore, anch’egli impegnato nel settore dei rifiuti ed acerrimo rivale di Orsi”. Il beneficiario del ‘regalo’ sarebbe stato, sempre secondo le parole di Orsi, l’ex consigliere regionale Nicola Ferraro.
Lo scontro con Zagaria
Un omicidio alto, non la solita ammazzatina di camorra, perché Michele Orsi aveva timidamente iniziato a collaborare con la giustizia e molte cose, e molto imbarazzanti, avrebbe potuto raccontare. Schiavone jr. conosce la verità e non c’è dubbio che la racconterà agli investigatori. Così come spiegherà se è vero ciò che rivelò un altro collaboratore, Roberto Vargas, che parlò di un suo piano per uccidere il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, all’epoca procuratore aggiunto a Napoli. Attentato che avrebbe commissionato a un uomo della jihad islamica conosciuto a San Marcellino, paesino alle porte di Casal di Principe. Rivelazioni alle quali i magistrati in passato non hanno mai dato molto credito ma per niente affatto inverosimili. Anche vere? E lo scontro con Michele Zagaria, che voleva la morte di Schiavone? Chiacchiere di pentiti o verità? E non è un dettaglio da poco, perché se Zagaria è in carcere, condannato all’ergastolo, i fratelli sono con un piede fuori dalla cella: Carmine è già libero; Antonio ma soprattutto Pasquale, l’uomo della svolta imprenditoriale nel settore del movimento terra e dei rifiuti, hanno suonato quasi per intero le condanne. E non si sa con quali intenzioni torneranno.