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Opinioni

Quanta ipocrisia su Fortuna e l’orco di Caivano

La storia di Fortuna e la polemica dopo le frasi di Augias in tv svelano piuttosto la grande ipocrisia con cui si parla di infanzia in Italia. Dalla politica ai media sono tutti coinvolti. In questi vuoti di coscienza nascono e si riproducono “orchi”.
A cura di Sabina Ambrogi
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La triste storia della bambina Fortuna, che dovrebbe diventare il simbolo nazionale dell'infanzia violata,  pone degli enormi quesiti di ordine politico, sociale, e mediatico. Tre elementi estremamente collegati tra di loro.

Partiamo da quello mediatico. Grande polemica è nata dalle frasi pronunciate da Corrado Augias nella trasmissione “DiMartedì” dove il giornalista ha detto che la bambina ritratta in foto si atteggiava da sedicenne. Il tutto in un contesto poi, ha aggiunto, in cui in un angolo troneggiava la statua di Padre Pio (che però è da sempre più un divo pop che un santo, e più che mai compatibile con qualsiasi situazione). Ora, che il navigato giornalista non avesse in mente di creare un indicibile rapporto di causa e effetto tra bambina “in posa maliziosa” e quindi “esca” per il pedofilo, è forse possibile. Tuttavia, la tv o la comunicazione in genere sono quella cosa feroce per cui se esprimi un'opinione devi essere abbastanza scaltro da spiegarla bene in modo che non si possano creare fraintendimenti. I quali fraintendimenti per essere prevenuti vanno prima conosciuti.Non bastano il garbo e il bel modo per esporre.

La questione così mal posta da Augias, e nel momento più sbagliato perché troppo ravvicinata a commentare il caso di cronaca, non deve soffocare però un dato fondamentale: l'ambiguità che i media  hanno da sempre nei confronti dell'infanzia. Caivano- come tutte le periferie del mondo- ha solo meno strumenti per difendersi. Se l'anziano giornalista fosse stato frequentatore dei social avrebbe notato che molto spesso i bambini (di preferenza le bambine) sono  sovraesposti dai genitori, abbigliati da adulti, in pose da adulti. Cioè sono un evidente e chiaro oggetto di fantasie e proiezioni di desideri o frustrazioni dei genitori.  Questa tendenza è molto chiara al marketing, comprendendo sotto questa definizione dalla moda dell'infanzia fino alla creazione di palinsesti televisivi e di pubblicità.

Basta sfogliare le riviste patinate per (ricchi e acculturati) in cui le più grandi case di moda (quindi non esattamente di Caivano) ritraggono bambine e bambine come fossero  ventenni. La perversione incarnata è proprio questa: sono dei sogni di adulti proiettati sui bambini, che certamente non sono i lettori di quelle riviste. Inoltre, gli abiti, come le sfilate delle case di moda non sono mai innocenti ma sono spesso estremamente “sessualizzati”. Peggio ancora fa la televisione. Solo l'anno scorso la Rai ha chiuso il programma “Ti lascio una canzone”. E fino al 2013 in contemporanea andava in onda “Io Canto” su Mediaset. Le polemiche e le riflessioni vertevano, a parte sproadiche proteste di associazioni varie, sui due programmi troppo simili tra loro. Erano cioè polemiche di bottega, non sul fatto che fossero due talent show per l'infanzia. Ma erano appunto la negazione stessa dell'infanzia: dei bambini cantavano delle notissime canzoni d'amore, vestiti da adulti. Soprattutto, cantavano per degli adulti, giacché i loro coetanei a quell'ora dormono da un pezzo.

Benché dunque si svenda l'infanzia con grande serenità, la pedofilia viene invece aspramente (e per fortuna) condannata. In pratica è come lanciare un auto in corsa e poi frenare all'improvviso. Il quadro finale oltre a essere schizofrenico è anche particolarmente ipocrita.

La politica invece da sempre così connessa ai media, e sempre così sensibile a cosa si può e non si può dire in tv, non lo è mai per l'offerta di programmi in cui bambini sono trattati come scimmie per far divertire un pubblico adulto (ma chi lo guarda “Master Chef” fatto dai bambini se non un pubblico adulto?). Non è infatti come vesti un bambino, ma dove esponi e per chi, quel bambino. La tv parla a tutti non ai nonni e agli zii.  Malgrado questa trascuratezza, la politica è invece sensibile su cosa invece si può insegnare a scuola ai bambini per non traviarli: soprattutto non si devono fare lezioni su questioni di sesso, come ci indica di fare l'Unione Europea, perché è proprio qui che si anniderebbe il male. La paura è in realtà una sola: che insegnando a non cadere negli stereotipi classici, in cui i maschi fanno delle cose e le femmine ne fanno altre nei loro recinti sempre rosa, si possa creare una nefasta confusione e si insegni ai bambini a diventare gay. Il livello di veicolazione di tutte le informazioni sul sesso quindi, spetterebbero alle famiglie. Che in genere ne danno poche o niente. Per non parlare per le  le adozioni gay, osteggiate “per la difesa dei nascituri” e per il “diritto del bambino”. Diritti che i bambini perdono immediatamente appena vengono al mondo: basti pensare al cinismo dei leghisti e della destra in genere nei confronti di chi fugge dalla guerra e dei bambini coinvolti. E quindi  “la protezione del bambino” è solo una questione paranoide di controllo di corpi e dei desideri altrui. Quindi diciamo che complessivamente dell'infanzia ci si cura assai poco se non in modo nevrotico e malato.

Ora, all'apnea di coscienza collettiva di fronte ai fatti di cronaca sulla prostituzione minorile dei giovani immigrati (L'Espresso ha pubblicato di recente un'inchiesta su questo, passata totalmente inosservata) corrisponde un universo adulto fragile, infantile e narciso, ossessionato dal proprio territorio, da piccole cose e pochi riferimenti e che si comporta, si veste e si atteggia come degli eterni adolescenti. Basti pensare al bambinone Berlusconi che ha dominato le cronache e la politica per anni. O alle conduttrici televisive che bambineggiano maliziose di continuo.

Se a una società così infantile che coinvolge quindi proprio tutti, in cui proprio tutti hanno “perso i riferimenti” (tanto per usare le parole che Augias ha rivolto alla famiglia di Fortuna), si aggiunge un degrado determinato da mancanza di lavoro, microcriminalità incancrenita, oblio (o resa) delle istituzioni, mancanza di speranze e di orizzonti è perfino normale che prosperino e si riproducano in serie patriarchi primitivi come Raimondo Caputo, aiutato da un'impressionante rete femminile di madri e nonne sulla quale andrebbero fatte riflessioni a parte. Sono dunque loro, questa rete di assassini attuali e potenziali, che si nutrono, cucinandoli a proprio modo, degli stessi escrementi buttati “dal mondo di là”, quello cioè che possono solo vedere in tv e al quale è vietato loro l'accesso.

Sono allora normali le reazioni bombarole e violente nel complesso “Parco Verde”, perfettamente speculari alla sollevazione  in rete che avvertiva la punizione inflitta a Caputo dai compagni di cella esemplare, e non una sconfitta. Alla quale si aggiunge la “castrazione chimica” di Salvini.

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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