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Reddito di cittadinanza, finisce la protesta dei due operai sul campanile del Carmine

I due operai licenziati dalla Fca di Pomigliano D’Arco sono scesi nella notte dal campanile della chiesa del Carmine di Napoli, dopo diversi giorni di protesta. Decisiva la mediazione dell’Inps, dalla quale hanno ricevuto rassicurazioni per il reddito di cittadinanza non solo per loro ma anche per altri operai nella medesima situazione.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Fine della protesta per i due ex-operai dello stabilimento Fiat Chrysler Automobiles di Pomigliano d'Arco, che dal sabato prima di Pasqua si erano arrampicati sul campanile della Chiesa del Carmine di Napoli, rimanendoci per diversi giorni in segno di protesta. I due uomini aveva anche affisso uno striscione dalla vetta del campanile, con la scritta "Reddito di Cittadinanza per i licenziati non c'è", nonché diffuso volantini in cui raccontavano la loro odissea giudiziaria con la Fiat Chrysler Automobiles. Mimmo Mignano e Marco Cusano, questi i due operai licenziati che hanno messo in atto la protesta, hanno quindi lasciato le impalcature dell'edificio dopo quattro giorni di protesta e dopo aver ottenuto delle rassicurazioni da Pasquale Tridico, il presidente dell'Inps, che ha annunciato l'imminente emissione di un decreto per l'Isee precompilato.

"Siamo scesi più forti di prima", ha spiegato Mimmo Mignano. L'obiettivo, hanno poi spiegato i due operai, era quello di sensibilizzare l'opinione pubblica su un problema serio come l'esclusione dal reddito di cittadinanza di molti operai che hanno perso il lavoro. I due aveano portato con loro, sul campanile della Chiesa del Carmine, anche delle
orecchie da coniglietto, divenute famose dopo la recente vicenda dello scambio di battute tra un utente Facebook e chi gestisce la pagina Inps sul popolare social network.

I due operai licenziati, reintegrati e poi di nuovo licenziati

La vicenda che portò al licenziamento dei due operai è stata poi spiegata dagli stessi attraverso un volantino diffuso durante la protesta. I due furono licenziati nel 2014, dopo che erano stati trasferiti e messi in cassa integrazione a zero ore con altri trecento operai, con l'accusa di aver infranto il cosiddetto "obbligo di fedeltà" nei confronti dell'azienda. Nel 2018, una sentenza definitiva della Corte di Cassazione ha stabilito che i due non possono più essere reintegrati in fabbrica, dopo che invece due anni prima la Corte d'Appello aveva sentenziato positivamente per il reintegro: i due operai sono stati anche condannati dalla Cassazione a restituire gli stipendi percepiti in quei due anni di reintegro.

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