Il Matteo che incombe sulla convention del Partito Democratico di Salerno stavolta non è il Santo patrono della città, quello per intenderci al cui corteo religioso i De Luca, papà Vincenzo e figli Piero e Roberto non mancano mai. È il Matteo Renzi che ieri non ha incrociato il presidente della Regione Campania, quello che ha bruciato il suo sabato napoletano di una campagna elettorale già difficilissima sull'altare della difesa di Roberto De Luca, indagato a Napoli per corruzione dopo l'inchiesta giornalistica di Fanpage.it. Il segretario del Partito Democratico dirà poi a Massimo Giletti su La7 di non aver chiesto le dimissioni di De Luca jr.
Come si è arrivati, dunque, alla sortita di domenica mattina, alla decisione di «rimettere il mandato» da parte dell'ormai ex assessore al Bilancio di Salerno? La vulgata è che sia stato il figliolo in un impeto di rabbia ad annunciarlo coram populo. La realtà, ricostruita attraverso chi gravita nei Dem di Salerno è che Vicienzo ha fatto come sempre, ha usato una tecnica consolidata: via i rami secchi deboli (di qui la decisione di silurare il consigliere delegato di Sma Campania Lorenzo Di Domenico che poi ieri si è dimesso prima della revoca dell'incarico) e per il figlio una soluzione di galleggiamento in attesa di tempi migliori. Non è la questione etica che preoccupa Vincenzo ‘o governatore. È solo ed esclusivamente quella giudiziaria. Che ci facesse il figlio in un ufficio privato a discutere di ecoballe non si sa, non interessa saperlo. Dunque così scatta la formula «rimetto il mandato nelle mani del sindaco Vincenzo Napoli», ovvero di un altro fedelissimo deluchiano (ma formalizzerà l'atto?).
È una operazione disperata ma vincente nell'enclave salernitana, l'unico luogo che realmente interessa la famiglia De Luca: applausi e anzi talmente tanta rabbia contro i giornalisti che a farne le spese è una collega di Fanpage.it, Gaia Bozza, aggredita e insultata. In questo modo anche il primogenito Piero De Luca, candidato al Parlamento – che ad oggi non ha speso una sola parola pubblica in difesa del fratello – è più sollevato. L'obiettivo di Vincenzo Pol Pot (così lo chiamavano gli avversari negli anni Novanta) è scrollarsi di dosso la pressione del Movimento Cinque Stelle e di Liberi e Uguali che da tre giorni martellano anche a livello regionale e chiederanno la sfiducia in Consiglio. A dimostrare l'apprezzamento del cerchio magico renziano per le dimissioni arriva una nota di Luca Lotti. «Salerno, il nostro impegno» c'è scritto sul manifesto nella sala del Grand Hotel: ora l'impegno è salvare il salvabile ed evitare che altri esponenti di partito come Federico Arienzo, il capogruppo al Comune di Napoli, tuonino contro quelli che con ferocia da campagna elettorale qualcuno definisce: i ‘Kennedy di Salerno'.