Scarcerato killer della camorra: ai domiciliari per il rischio di contagio in carcere
Regime carcerario incompatibile in questo periodo con le sue condizioni di salute. Per questo motivo è tornato a casa Giosuè Belgiorno, condannato a venti anni di reclusione come killer della camorra di Secondigliano, sicario di fiducia del boss maranese Mariano Riccio; l'uomo, che fa uso di medicinali immunosoppressori, è stato scarcerato sulla base di una perizia di un consulente tecnico del Tribunale del Riesame di Napoli. La decisione è arrivata dai giudici della decima sezione del Riesame: da venerdì scorso Belgiorno, difeso dagli avvocati Massimo Autieri e Raffaele Chiummariello, non è più nel carcere di Secondigliano ma è stato trasferito ai domiciliari perché è ritenuto soggetto a rischio in caso di diffusione del coronavirus dietro le sbarre.
La decisione del Riesame va nella direzione contraria rispetto a quella della Corte di Assise d'Appello, che aveva ritenuto che Belgiorno dovesse rimanere in carcere in quanto adeguatamente assistito nel centro clinico del penitenziario di Secondigliano e non ravvisando quindi la necessità di una scarcerazione dovuta a motivi di salute. Giosuè Belgiorno, reo confesso, è stato condannato per l'omicidio di Antonino D'Andò, ucciso durante lo scontro tra i gruppi Amato e Pagano.
D'Andò era ritenuto uno dei luogotenenti di Carmine Amato, erede del capoclan Raffaele Amato. Era era scomparso il 22 febbraio 2011. Venne convocato col pretesto di una riunione, ma si trattò di una trappola. Un caso di lupara bianca: dopo l'omicidio il corpo fu sepolto nelle campagne di Arzano, è stato fatto ritrovare soltanto al termine del processo, dagli stessi killer reo confessi, che hanno indicato il luogo della sepoltura. La scelta di far sparire il corpo sarebbe stata un altro segnale: una ritorsione contro un affiliato degli Amato che si era opposto alla nuova leadership della consorteria, a quell'epoca guidata da Mariano Riccio.