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Schiavone, il camorrista che voleva essere chiamato eroe

Una figura controversa che ha continuato la guerra di camorra alla sua maniera. Voleva essere un eroe, un moralizzatore, uno a cui dire “grazie”. Ma era un camorrista che è stato complice dell’avvelenamento della Campania.
A cura di Antonio Musella
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E' morto oggi Carmine Schiavone, il pentito di camorra salito alla ribalta delle cronache poco più di un anno e mezzo fa per le sue presunte rivelazioni sugli sversamenti di rifiuti tossici nella zona della terra dei fuochi tra le province di Napoli e Caserta. Schiavone è stato al vertice del clan dei casalesi fino alla prima metà degli anni novanta, fino al suo arresto e poi al suo pentimento. Da collaboratore di giustizia era stato ascoltato dapprima dai magistrati, che avevano verbalizzato le sue dichiarazioni in cui descriveva i luoghi dove il clan dei casalesi aveva seppellito rifiuti tossico nocivi e quale era il business che girava intorno al traffico di rifiuti in cui erano presenti grandi aziende del nord Italia ed ovviamente il cartello criminale dei casalesi. Successivamente Schiavone venne anche ascoltato dalla prima Commissione bicamerale di inchiesta sulle ecomafie, presieduta tra il 1996 ed il 2001 da Claudio Scalia, esponente all'epoca dei Verdi. Rivelazioni che Scalia raccontò anche a Fanpage nel novembre del 2013.

Di certo delle sue "rivelazioni" non si hanno sempre avuto riscontri. Infatti nell'ultimo biennio in alcune occasioni la magistratura e le forze dell'ordine hanno provato a verificare se nei luoghi indicati da Schiavone ci fossero interrati rifiuti tossici, con esiti diversi. "Tra vent'anni moriranno tutti di tumore" tuonava Schiavone, che tra il 2013 ed il 2014 è divenuto un vero e proprio fenomeno mediatico. Apparizioni in Tv, interviste "in esclusiva", condite con frasi ad effetto. Un pentito a cui forse è stato dato troppo peso fino a farlo sembrare un eroe. Carmine Schiavone non era un eroe. Era un camorrista pentito ed è stato complice dell'avvelenamento di un pezzo di territorio campano. La sua storia criminale ci dice che non si è mai fatto troppi problemi ad ordinare uccisioni oppure a commettere omicidi personalmente, le sue parole sono arrivate anche dopo anni di silenzio visto che ha cominciato a collaborare con la giustizia alla fine degli anni novanta e solo recentemente aveva reso pubbliche le sue dichiarazioni. Di certo in tutte le sue apparizioni pubbliche Schiavone ribadiva sempre la sua estraneità al traffico di rifiuti. Erano gli altri, lui non c'entrava nulla. Gli altri erano i cattivi e lui era il buono . Arrivò ad accusare le mamme della terra dei fuochi di essere state in silenzio davanti agli sversamenti. Lo fece in diretta Tv e nessuno ricordò a Carmine Schiavone che nel vertice di quella cupola criminale c'era lui e non certo le donne di Caivano, Acerra, Giugliano, che hanno perso i loro bambini di tumori.

Il mio incontro con Schiavone avvenne a Milano nel dicembre del 2013. Eravamo ospiti di una trasmissione su La 7 dove si discuteva proprio del dramma della Terra dei Fuochi. Lo attaccai in studio accusandolo di essere stato un complice di quello scempio e di non essere nelle condizioni di potersi erigere a moralizzatore di una vicenda drammatica che, pur avendo avuto nelle istituzioni tanti silenzi e complicità, di certo non poteva essere storicizzata da un camorrista. Non la prese bene, durante le pause pubblicitarie continuava a venirmi vicino, voleva spiegarmi che lui era "il buono" estraneo ai traffici e gli altri erano "i cattivi". Schiavone si esprimeva con il linguaggio duro dei camorristi, semplice ma tagliente, con quel marcato accento casertano e le movenze tipiche di chi è stato abituato ad esercitare il comando. Alla fine della trasmissione la discussione con "Don Carmine" continuò. I suoi ragionamenti apparivano spesso strampalati e solo l'aiuto del dialetto poteva permettergli di esprimere trame più o meno comprensibili. Per puro caso alloggiavamo nello stesso albergo in zona Lambrate e mi invitò nella sua stanza per continuare la discussione. Andammo avanti fino alle 4 del mattino con il posacenere che si riempiva delle sue sigarette Camel Blu una dopo l'altra. Mi spiegò che i suoi contrasti con "Sandokan" – alias Francesco Schiavone capo dei capi del clan dei casalesi arrestato nel 1998 – erano dovuti principalmente a due questioni: i contrasti in senso al clan tra gli Schiavone ed i De Falco ed il traffico dei rifiuti. "Io gli dissi che non potevamo avvelenare casa nostra dove vivevano anche i nostri figli, ma loro non mi davano ascolto" mi disse. Mi spiegò alla sua maniera come i contrasti aumentarono dopo alcuni omicidi che rinfocolarono lo scontro tra gli Schiavone, alleati con i Bidognetti ed i De Falco e sul proseguo degli smaltimenti illeciti a sua insaputa. "Io decisi che li dovevo sparare a tutti quanti con una mitraglietta" mi disse. Così si recò in Puglia dove tra la provincia di Taranto e Brindisi aveva diversi affari, possedeva aziende di calcestruzzo ed aveva l'egemonia criminale. "Dovevo recuperare delle armi che avevo su una piccola nave con cui facevo il contrabbando con l'Albania" mi raccontò. Ma qualcosa andò storto. "Mentre stavo in Puglia mio figlio (non mi ha mai detto quale dei tanti) mi diede un appuntamento in una cava vicino Mesagne perché mi disse che mi doveva parlare". Al suo arrivo trovò ad attenderlo i Carabinieri. "Io lo so che mi hanno venduto perché non mi volevano far fare la guerra agli altri". Ed e qui che nel racconto di Schiavone emerge quello che lui definisce l'evento cruciale del suo pentimento. Dopo l'arresto inviò sua figlia dagli altri uomini del clan a dire che lui non voleva che si continuasse la guerra con i De Falco e che si finisse con i rifiuti tossici. "Mi mandarono a dire che semmai fossi uscito di galera l'avrei fatto curvo su un bastone… come a nu vicchiariello". Ed è lì che Schiavone decise di pentirsi. "L'unica arma che tenevo era il pentimento li dovevo far arrestare a tutti". Il suo racconto proseguì tra indicazioni di presunti terreni dove sarebbero state sversate "le cassette di rifiuti nucleari". Diceva proprio così, "cassette" come quelle con cui si portano le mele al mercato. Ma quando gli si chiedevano più particolari rispondeva con "io non c'ero, io non mi occupavo di questo, a me non lo dicevano". Parlava di ditte del Nord, del ruolo ormai noto da anni dell'avvocato Cipriano Chianese già accusato da diversi pentiti di essere il tramite tra i casalesi e le aziende del nord per smaltire rifiuti tossici. Quella notte però dopo aver ascoltato per ore quel lungo racconto fatto di trame che si perdevano improvvisamente lasciando spazio ad aneddoti fuori contesto, chiesi al pentito se ancora oggi si sentisse in guerra contro la fazione opposta del clan che aveva disobbedito ai suoi ordini. "Con queste dichiarazioni sui rifiuti tossici lei sta continuando la guerra ai suoi cugini praticamente". Non battè ciglio e mi rispose con il sangue agli occhi: "Quella non finisce mai".

Oggi nella Terra de Fuochi anche i bambini sanno cosa è successo. Di pentiti che vogliono essere considerati eroi non abbiamo necessità. Di risposte concrete per salvaguardare la salute di tutti invece ne abbiamo urgente bisogno.

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