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Suicida per scappare dagli usurai: quando la camorra ammazza senza pistole

Dall’ordinanza contro il clan Contini emergono le storie di due persone che si sono suicidate perché non potevano restituire denaro alla camorra. Una è un avvocato che avrebbe dovuto reinvestire i soldi, un’altra è un artigiano che era finito nella morsa dell’usura e, dopo minacce e pressioni, aveva deciso di farla finita lasciando una lettera ai familiari.
A cura di Nico Falco
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"Perdonami, ma non ce la faccio più. Sono stanco, ma tanto stanco. Spero che dopo di questo non ti daranno più fastidio, almeno con questo gesto spero di sanare alcune cose". Comincia così la lettera che un artigiano napoletano scrisse alla moglie e ai figli prima di togliersi la vita. Poche righe di addio, in cui spiega perché ha deciso di uccidersi: è finito nella morsa dell'usura gestita dagli affiliati al clan Contini. La storia viene ripercorsa nell'ordinanza che ha portato a più di cento arresti in seguito all'inchiesta della Procura di Napoli sul potentissimo clan dell'Alleanza di Secondigliano. Ed è la seconda: anche un altro uomo, un avvocato, si era tolto la vita perché doveva restituire una somma di denaro che gli era stata affidata dal clan. Due storie diverse, ma con un punto che le unisce: due persone si sono ammazzate perché non hanno trovato un'altra via di uscita, hanno deciso di uccidersi sperando che, dopo la loro morte, la croce che avevano sulle spalle non passasse ai familiari.

La vicenda dell'artigiano napoletano è uno schiaffo in faccia a tutti quelli che parlano di onorabilità della camorra, del controllo del clan auspicato e a volte desiderato perché "quando c'è il boss si vive meglio, chè c'è lui a controllare che tutto vada bene". I magistrati lo spiegano nell'ordinanza, come si vive meglio sotto il controllo della camorra. Hanno ricostruito che alcuni degli affiliati avevano avuto la disponibilità di 20mila euro, da concedere in prestito con interessi dell'8% al mese, ovvero 96% all'anno, con un introito di 1400 euro ogni mese.  Nell'ordinanza viene menzionato il prestito concesso all'artigiano: 300 euro, per i quali pretendevano il pagamento di 200 euro al mese per i soli interessi (60% al mese), che presumibilmente servivano per tamponare un altro debito.

Quando la vittima aveva detto di non poter pagare, erano cominciate le minacce. Telefonate continue, pressioni, minacce di spezzargli le ossa se non avesse ripagato il debito. I trecento prestati, più i duecento degli interessi. E subito. Senza nessuna altra dilazione, senza pagamenti parziali. Le estorsioni sarebbero andate per anni, fino a quando non si è chiuso il cerchio: l'ultima intercettazione risale a tre mesi prima del suicidio.

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Giornalista professionista dal 2011, redattore di cronaca nera per Fanpage.it dal 2019. Precedentemente ho lavorato per i quotidiani Cronache di Napoli, Corriere del Mezzogiorno e Il Mattino.
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