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Terra dei Fuochi, le immagini dei bimbi malati. Patriciello: «Impariamo da loro»

Il parroco del rione Parco Verde di Caivano, in prima linea nella lotta all’avvelenamento ambientale in Campania, pubblica su Facebook le foto di due bambini malati. «Lottano, soffrono, sperano» scrive «impariamo da loro».
A cura di Angela Marino
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«Aurora e Mattia. Hanno entrambi 8 anni. Entrambi sono ricoverati in ospedale». Con le struggenti immagini di due bimbi ricoverati in ospedale per malattie oncologiche, pubblicate ieri sulla sua pagina di Facebook, don Maurizio Patriciello torna ancora una volta a fare sentire la propria voce sul dramma della Terra dei Fuochi, l'area compresa tra Napoli e Caserta, oggetto per anni di sversamenti illegali di rifiuti tossici. Una porzione di territorio dove si registra un eccesso di tumori, soprattuto infantili. «Mattia dona ad Aurora uno spicchio del suo mandarino. Stupendo. Impariamo da loro. Preghiamo per loro. Ho ricevuto dai genitori il permesso di pubblicare la foto. Per portare queste meravigliose creature nelle vostre case e nei vostri cuori. Per far sapere a tutti che Aurora e Mattia sono tra coloro che, nella Terra dei fuochi, lottano, soffrono, sperano. Dio li benedica mille volte». Una immagine struggente che segue di poche ore un'altra dolorosa riflessione del parroco del rione Parco Verde di Caivano, da anni sul fronte della lotta all'avvelenamento ambientale.

«Il numero dei morti inganna – scrive padre Maurizio –Alle giovani mamme portate al camposanto occorre aggiungere i figlioletti che rimarranno a casa immersi in un mare di dolore. Nelle bare dei bambini che hanno messo al mondo, i loro genitori rinchiudono anche i loro cuori. La matematica in questi casi mente. Non dice il vero. Non lo può dire perché non le compete. Occorre mettersi in ascolto del dolore. Andare negli ospedali di Napoli e dintorni dove tanti pazienti non hanno nemmeno un letto per riposare. Dove le liste di attesa per un ricovero sono lunghe come l’ elenco telefonico. Occorre portarsi al cimitero di Frattaminore, Acerra, Orta, Caivano e degli altri cento paesi della Terra dei fuochi. Senza paura. Senza paraocchi. Senza il desiderio di imbrogliare il prossimo. Occorre entrare nelle case dove si stanno spegnendo i nostri cari e, umilmente chiedere come stanno facendo per tirare avanti. Meno male che le nostre sono ancora famiglie numerose e disponibili. Dove ognuno, anche i parenti più lontani e gli amici, danno una mano. L’ho visto con mio fratello Giovanni. Attorno al letto dove viveva le sue ultime ore eravamo in tanti a tentare di lenire il suo dolore».

«Ritorniamo a essere uomini. Non gettiamo alle ortiche la nostra dignità – scrive ancora il parroco – La nostra terra deve tornare a vivere. La nostra gente deve tornare a sorridere. Ce la possiamo fare. Ce la faremo. Se saremo uniti, caparbi, intelligenti e disponibili. Se ci liberiamo dalla paura di morire uccisi dal camorrista o investiti dalla macchina del fango di chi sulla “ terra dei fuochi” vuole costruire la propria carriera. Questa è la nostra terra. Questa è la terra dei nostri padri. Ma, soprattutto, questa è la terra dei nostri figli. E noi la difenderemo con le unghie».

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