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Ucciso davanti al nipotino, restano in carcere il boss Umberto D’Amico e gli altri fermati

Sono stati convalidati i fermi dei 7 presunti responsabili dell’omicidio di Luigi Mignano, ucciso il 9 aprile scorso a San Giovanni a Teduccio mentre accompagnava a scuola il nipotino; gli arrestati sono accusati di aver organizzato l’agguato per colpire il clan Rinaldi, a cui la vittima era vicina per legami di parentela.
A cura di Nico Falco
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Restano in carcere i sette uomini sottoposti a fermo con l'accusa di far parte del gruppo che ha organizzato e poi messo in atto l'omicidio di Luigi Mignano, ucciso il 9 aprile scorso nel Rione Villa di San Giovanni a Teduccio, a pochi passi dalla sua abitazione e dalla scuola Vittorino da Feltre. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, Valeria Montesarchio, ha convalidato il fermo ed emesso l'ordinanza di custodia cautelare in carcere; il gruppo era finito in manette alle prime ore di sabato scorso, 4 maggio, l'operazione era stata condotta da Polizia e Carabinieri in esecuzione del provvedimento emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Il fermo era scattato per Umberto D'Amico, considerato ai vertici del gruppo camorristico, e Umberto Luongo, suo uomo di fiducia, indicati come mandati dell'omicidio; Ciro Rosario Terracciano, accusato di essere l'esecutore materiale; Salvatore Autiero, Gennaro Improta e Giovanni Musella, il primo con ruolo di appoggio e gli altri due come "staffetta" per controllare la strada percorsa dal killer; Giovanni Borrelli, che a differenza di mandanti ed esecutore non risponde di omicidio ma di favoreggiamento aggravato dalla matrice camorristica, perché secondo gli inquirenti si sarebbe disfatto della pistola usata per l'agguato.

La mattina del 9 aprile scorso Mignano era col figlio Pasquale e col nipotino, stava accompagnando il bambino a scuola quando sono arrivati i killer. I sicari spararono ad altezza uomo, continuando a premere il grilletto anche quando l'obiettivo era a terra. Una pallottola colpì il figlio, ferendolo a una gamba. Altri colpi furono esplosi verso l'automobile, dove pochi secondi prima era salito il bambino: per gli inquirenti i killer lo avevano visto e nonostante ciò avevano sparato sulla vettura. L'omicidio si inquadra negli scontri tra il clan Rinaldi, a cui era vicino Mignano, avendo sposato la sorella di Ciro Rinaldi, e il gruppo D'Amico-Mazzarella.

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