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Ucciso davanti al nipotino, i killer hanno sparato anche sull’auto dove c’era il bambino

I killer che hanno ucciso Luigi Mignano non si erano fatto scrupolo di sparare anche in presenza del nipotino di 3 anni. Emerge dall’ordinanza che ha portato al fermo di 7 persone: avevano visto il bambino e hanno esploso lo stesso almeno una decina di proiettili, colpendo anche l’automobile dove il piccolo era nascosto.
A cura di Nico Falco
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Il corpo della vittima dell'agguato davanti ad una scuola nel Rione Villa di San Giovanni a Teduccio.
Il corpo della vittima dell'agguato davanti ad una scuola nel Rione Villa di San Giovanni a Teduccio.

Il primo colpo per abbattere l'obiettivo, gli altri ad altezza uomo. L'agguato in cui è morto Luigi Mignano, il 9 aprile scorso nel Rione Villa di San Giovanni a Teduccio, ammazzato a poche decine di metri dalla scuola Vittorino da Feltre, poteva essere una strage. Secondo quanto evidenziato dai giudici nel provvedimento di fermo emesso contro presunti mandanti ed esecutori il commando sapeva che la vittima era insieme al figlio e anche che con loro c'era il nipotino di 3 anni. Lo avevano seguito, studiato, sapevano che sarebbe uscito di casa a quell'ora e si erano appostati nei paraggi. Lo avevano visto mentre faceva salire il bimbo in auto e si erano avvicinati. Lentamente, fino a pochi metri, per tirare fuori la pistola ed averlo subito sotto tiro. Nonostante sapessero che non era da solo avevano aperto il fuoco, esplodendo numerosi colpi. Un proiettile aveva preso alla gamba il figlio della vittima mentre stava scappando. Alcune pallottole erano finite nell'automobile, dove c'era il bimbo, nascosto sotto il sedile passeggero. Se quel raid ha portato ad un solo morto e il bambino è rimasto illeso, rilevano i giudici, è stato solo per un caso. La ferocia del commando emerge anche nelle intercettazioni, quando gli indagati si vantano di aver eseguito già numerosi omicidi e di non essere stati mai arrestati per nessuno di quelli, e dicono che non intendono fermarsi ma che hanno già altri obiettivi pronti per riprendersi il quartiere.

Il commando di fuoco

Gli inquirenti hanno ricostruito i ruoli e i compiti del gruppo che ha messo a segno il raid. I mandanti sarebbero Umberto D'Amico e Umberto Luongo; quest'ultimo si sarebbe occupato anche degli aspetti successivi all'omicidio per depistare le indagini e far scomparire le prove: avrebbe fatto da appoggio ai killer per aiutarli nella fuga e avrebbe incaricato Giovanni Borrelli di distruggere l'arma usata per l'omicidio. Della fase esecutiva avrebbero invece fatto parte Ciro Rosario Terracciano, quello che avrebbe premuto il grilletto; Salvatore Autiero, con ruolo di appoggio; Gennaro Improta e Giovanni Musella, che, infine, avrebbero fatto da "staffetta", controllando il percorso prima dell'agguato.

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