Un anno fa moriva Ciro Esposito. E quasi nessuno ha capito niente
Un anno fa, alle prime luci del mattino, in un letto di ospedale lontano da casa sua, moriva Ciro Esposito. Erano passati cinquanta giorni da quando un proiettile lo aveva raggiunto e gettato la sua vita e quella dei suoi familiari in un inferno finito nel peggiore dei modi. Aveva trent'anni, lavorava nell'autolavaggio di fronte a casa mia e si voleva sposare. Aveva trent'anni, tifava per il Napoli e andava alle partite. Ed è morto così, senza una ragione.
Me li ricordo bene quei giorni, mi ricordo in bene la sera del tre maggio e le notizie che dal pomeriggio si rincorrevano e disegnavano un quadro sempre più confuso, che però ti lasciava il sospetto, la sensazione, di essere invece molto chiaro. All'inizio si sapeva solo di scontri scoppiati così, senza una spiegazione. Del resto quelli sono bestie e all'improvviso si danno addosso, e che un ragazzo da questi scontri ne era uscito ferito. Poi venne fuori il fioraio: un fioraio, spaventato dalla rissa, aveva sparato e colpito uno dei delinquenti che se le stavano dando per il puro gusto di darsele.
Poi cominciò a diffondersi il sospetto. Il ragazzo che era rimasto ferito dal colpo di pistola era napoletano, probabilmente si trattava di un regolamento di conti. Nel giro di poche ore un ragazzo di trent'anni che voleva sposarsi e che amava il Napoli si andava a vedere le partite, visto che era nato a Scampia e che si era trovato coinvolto in degli scontri, era diventato un criminale. Quasi nessuno aveva dubbi sul fatto che Ciro avesse un minimo di responsabilità in quello che era successo.
Le cose poi si sono chiarite col tempo e tutto si è definito per quello che era: l'assalto al pullman, l'intervento di Ciro per soccorrere chi si era trovato in mezzo, la pistola nelle mani di De Santis e tutto il resto. Con il passare dei giorni il clima non era più concitato e tutto era tornato al suo posto, ora Ciro Esposito era diventato, sui quotidiani locali, semplicemente “Ciro”, il ragazzo di tutti, di cui si seguivano le sorti con apprensione. Prima discriminato, vittima di un processo sommario e assolutamente ingiustificabile, e poi vessillo da sbandierare per riscuotere consensi.
Intanto Ciro era morto e lasciava un sacco di cose: una madre esemplare per il suo modo di affrontare il dolore; una fidanzata che con voce tremante leggeva un brano sulla morte al suo funerale; un quartiere sconvolto, sospeso. Me lo ricordo il silenzio che c'era a Scampia in quei giorni. Mi ricordo come se ne parlava: poteva essere il figlio di tutti ed era il figlio di tutti. Quando arrivò l'auto con la bara, per il funerale, da tutti i porticati, da tutti i palazzi, da tutte le stradine, spuntavano centinaia di ragazzini e correvano come schegge verso quell'auto. Verso Ciro, che era tornato a casa.
Scampia ha dato una grande lezione di dignità in quei giorni, rinchiudendosi in un lutto silenzioso e sinceramente addolorato. La piazza del funerale di Ciro era pienissima, c'erano tutti e tutti piangevano con lacrime sincere una perdita ingiusta, intollerabile. Ciro non aveva fatto niente ed era morto lo stesso. Come se tutta l'ingiustizia di cui si sente vittima chi vive in un posto come questo non fosse sufficiente. Si poteva pure rischiare di essere raggiunti da un proiettile così, in un giorno di maggio, ed essere infamati con accuse, insinuazioni, sospetti, cose dette a mezza voce. “Se era lì qualcosa c'entra”, “Se gli hanno sparato tanto innocente non era”, e ancora, ancora, ancora.
L'accertamento della verità, il fatto che Ciro fosse innocente, dovrebbe aver insegnato una lezione che nessuno ha imparato. Qualche mese dopo toccava a un altro ragazzo, ancora più giovane, morire senza una ragione in una notte di settembre. Davide Bifolco moriva perché non si era fermato a un posto di blocco, che aveva superato con il suo motorino senza assicurazione, sul quale stava insieme ad altre due persone. Se ne dissero di tutti i colori. In un quartiere come quello si trattava sicuramente di un criminale. Se non si era fermato aveva qualcosa da nascondere. Se sei sicuro di te non scappi. Si disse che portava con sé, sul motorino, un pregiudicato. Che era scappato per questo. Io onestamente non credo che, in qualunque caso, qualcuno meriti un'esecuzione sommaria, mentre sta sul motorino con i suoi amici, qualunque cosa abbia fatto.
Ma Davide con quelle cose lì non c'entrava niente. Stavano sul motorino in tre, senza assicurazione, e si erano spaventati. Davide è morto perché ha reagito d'istinto a una situazione che non sapeva gestire. Ma nel frattempo, anche su di lui, si è detta qualunque cosa. Che quello – che fino al giorno prima nessuno sapeva nemmeno dove stava – era un quartiere criminale, e che lui non era in una situazione di legittimità. Me li ricordo i commenti: “Uno in meno”, “in certe zone ci vuole l'esercito”, “dovevano sparare a tutti e tre” e via di seguito…Come se ci fosse una qualunque giustificazione plausibile per l'assassinio di un sedicenne.
Non solo la storia di Ciro Esposito non aveva insegnato niente sulle periferie di questa città, ma anzi tutti si sentivano legittimati a sputare veleno e pregiudizi su un altro ragazzo solo perché era nato in un quartiere piuttosto che in un altro. Davide era un ragazzino di un quartiere di periferia, e quindi non poteva essere un innocente ammazzato. Come all'inizio si diceva di Ciro. Come si ritiene, in generale, che tutti noi che abitiamo in queste zone siamo solo dei criminali e che tutti i criminali, a prescindere, abbiano a che fare con determinate zone. Un collegamento che si stabilisce con un nesso di reciprocità che però nessuno indaga.
La scorsa settimana in un altro quartiere di periferia, a Barra, si è verificato l'arresto del boss Luigi Cuccaro e si è diffusa la notizia di un quartiere in rivolta, a difesa del suo signore. Qualcuno ha provato a smorzare la notizia, dicendo che non si trattava che di poche persone, tutte parenti o afferenti al clan, e che il tutto era stato gonfiato dai media. Io non lo so perché non c'ero. Però so che se pure fosse sceso tutto il quartiere, durante l'arresto, lo comprenderei. Non sarebbe né la prima, né l'ultima volta, e qui nessuno si può mettere a dare lezioni di educazione civica.
Ci sono quartieri di questa città, periferie infinite, dimenticate da dio e dalle istituzioni. Territori vasti in un cui le uniche forme di welfare sono quelle offerte dalle famiglie che li governano. Che regnano, potremmo dire. E nessuno fa e dice nulla. Lo Stato è totalmente inesistente, eclissato, e compare di tanto in tanto sotto forma di blitz, di posto di blocco, di proiettile che ammazza un ragazzino, anche di arresto di chi nel frattempo ti ha fatto campare. Quartieri con un tasso spaventoso di dispersione scolastica, e nessuno fa niente. Quartiere con un livello di disoccupazione talmente diffuso che è assurdo che nessuno si chieda come la gente mangi, da queste parti. Quartieri in cui pure i lavori di manutenzione dei palazzi popolari non li fanno gli Istituti deputati a farlo, ma si chiede una mano a chi amministra l'ordinario.
Poi però ogni tanto le istituzioni alzano la testa e rivendicano un'agibilità e un'autorevolezza che non si sono conquistate mai, e tutti si stupiscono del fatto che la gente si ribelli. Si stupiscono, accusano, e tutti diventano dei criminali, dei collusi, dei complici. Perché il mondo è tutto bianco o tutto nero, ed è più facile raccontarla così. È più facile, per esempio, raccontare che una baby gang che fa rapine al Vomero è composta da ragazzi di Scampia, pure se, di dieci ragazzi, sono stati fermati in due, e di questi due solo uno è di Scampia. Come è facile dire che qualunque omicidio si verifichi da Giugliano a Casoria si è verificato a Scampia. Come è facile poi stupirsi se in queste strade c'è diffidenza per chi viene da fuori, per chi vuole raccontarle, e che spesso racconta quello che vorrebbe trovarci, pure se non ce lo trova.
Come per esempio che se un ragazzo di questo quartiere viene ammazzato, dovunque egli sia, qualunque cosa stesse facendo, c'è da andarci cauti prima di ritenere che sia solo una vittima. Un anno fa moriva Ciro Esposito, e quasi nessuno, ancora, ci ha capito niente.