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“A 12 anni vedetta della camorra”: le storie dei ragazzi salvati in periferia (grazie al judo)

A un destino amaro è sfuggito Luigi (nome di fantasia), che a soli 12 anni si è trovato imbrigliato da “gente non perbene”, come la definisce lui stesso, e ha avuto per un po’ anche paura ad allontanarsene. “I due maestri di judo e mio zio mi hanno convinto, mi hanno detto che non sarebbe successo nulla e io mi sono fidato”. Oggi è una promessa del judo e da grande vuole fare lo chef.
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A cura di Gaia Bozza
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Emanuele Errico, 19 anni, è morto pochi giorni fa al rione Conocal di Ponticelli, periferia est della città. Gli hanno sparato alla schiena, ha avuto poco scampo. E' morto dopo alcune ore di agonia. Era – avrebbe dovuto essere – ai domiciliari per questioni relative allo spaccio di droga. Emanuele Errico è uno dei tanti giovanissimi che finiscono in questa spirale di criminalità, carcere e morte che insanguina anche la desolata periferia est della città, la zona a più alta densità demografica di giovani e tra le più povere nell'offrire alternative concrete di aggregazione e di formazione. I cittadini sono scesi in piazza contro le "stese" di camorra qualche settimana fa, mentre la faida riprende a intervalli regolari tra i nuovi clan emergenti come i D'Amico, fatti spesso di giovani e giovanissimi.

A questo destino è forse sfuggito Luigi (nome di fantasia), che a soli 12 anni si è trovato imbrigliato da "gente non perbene", come la definisce lui stesso, e ha avuto per un po' anche paura ad allontanarsene. Luigi accetta di farsi intervistare per raccontare un piccolo miracolo che è successo proprio in quel pezzo di città che è meno "città" degli altri, dove i bus arrivano poco, non c'è la metro, luoghi di aggregazione al di fuori di qualche campetto e qualche circolo ricreativo nemmeno a parlarne, e pure i soldi – in generale – sono pochi. Sono i rioni Conocal, De Gasperi, Lotto O di Ponticelli. Sono ghetti di cemento e poco altro. E' in queste zone che, appena dodicenne, Luigi finisce nella rete. Tornava da scuola e usciva subito dopo, rientrando spesso tardi. Lo caricavano in motorino, qualche volta lo guidava addirittura lui, e lo lasciavano un po' in tutto il quartiere ma anche in altre zone della città. Aveva già un "inquadramento", da appena adolescente: era la vedetta. "Dovevo controllare se arrivavano i poliziotti, i carabinieri – racconta – Mi lasciavano sui palazzi, sui grattacieli, o per la strada a fare il palo". Non solo questo, però. Qualche volta faceva anche da corriere: portava anche "della roba che non sapevo cosa era – dice – Sui balconi, o la lasciavo a persone in alcuni posti dove loro sapevano di dover andare a prenderla". Era droga. E "appresso a loro mi obbligavano a fumare, volevano che mi drogassi come loro ma quello non volevo farlo, infatti ho preso il vizio delle sigarette ma la droga no".

Questa vita sul filo del rasoio, già a 12 anni, è qualcosa che cambia per sempre il presente e le prospettive, e non è facile uscire dal giro. Non è facile perché, spiega Luigi con poche e stringate parole, "avevo paura che succedesse qualcosa ai miei familari. Loro mi minacciavano che se non avessi fatto quello che mi dicevano avrebbero ucciso me o fatto del male alla mia famiglia". Non aggiunge altri dettagli, questo ragazzino che ora ha 14 anni e in questa sintesi brutale ha racchiuso il senso della "malastrada", come la definisce lui, la strada cattiva dalla quale è difficile e talvolta quasi impossibile tirarsi fuori da soli. Ma qui interviene un elemento esterno. Si chiama Massimo Parlati ed è un atleta delle Fiamme Oro della Polizia di Stato. Insieme al fratello Raffaele gestisce una scuola di judo – Nippon club – nel palazzetto dello sport di Ponticelli, il Palavesuvio, dove sforna anche campioni che vincono importanti competizioni internazionali. E, contemporaneamente, sente che quello non è abbastanza e cerca di attirare verso la palestra di judo i cosiddetti ragazzini a rischio: "Vincere competizioni internazionali è importante, ma è ancora più importante vincere contro la camorra", dice a Fanpage. "I due maestri di judo e mio zio mi hanno convinto, mi hanno detto che non sarebbe successo nulla e io mi sono fidato", racconta Luigi. Oggi è una promessa del judo. Ma questo giovanissimo non è l'unico a essere cambiato grazie a questa esperienza. C'è un altro ragazzino, che oggi ha 17 anni e che era finito tra i bulletti, a scuola: per difendersi, entrò anche lui in una sorta di baby gang. Aveva appena 10 anni. Quando il padre gli scoprì il coltello in tasca, capì che era giunto il momento di dare una svolta radicale: cambio scuola, cambio compagnie, cambio ambiente. Un posto "sano" dove stare, dove sentirsi accolti, può salvare: e così è stato anche per questo ragazzo, nella periferia stessa che si dice sia foriera solo di disgrazie. Sempre nella stessa palestra, c'è un giovane richiedente asilo che partecipa alle lezioni e così riesce a trovare un principio di integrazione.

Queste attività vengono portate avanti con grande sforzo, perché non ci sono aiuti da parte delle istituzioni – Comune, Regione, istituzioni centrali – e perché spesso le famiglie dei ragazzini non possono pagare. Ma, nell'ottica del "nessuno si salva da solo", vengono accolti lo stesso, con sforzi talvolta davvero troppo grandi.

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