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Addio a Zi’ Tonino, era l’ultimo sciuscià di Napoli

Lo storico lustrascarpe era un punto di riferimento per coloro che passeggiavano lungo via Toledo. Il suo banchetto, storicamente collocato dinanzi la Galleria Umberto I era gettonatissimo dai turisti di tutto il mondo. Tanti i personaggi famosi passati da lui, da Totò a Vittorio De Sica, da Achille Lauro ad Antonio Bassolino.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Un altro pezzo di Napoli che se ne va: dopo l'addio alla storica Fortuna ‘a bananara, si è spento quest'oggi anche Antonio Vespa, detto Zì Tonino, l'ultimo sciuscià di Napoli, particolarmente conosciuto nella zona di Via Toledo, a ridosso dei Quartieri Spagnoli di cui era originario.

Già da qualche tempo non si vedeva più nel posto che solo lui poteva occupare: via Toledo, all'altezza della Galleria Umberto I. Un tocco di storia in una strada frenetica: in decenni sono cambiate le persone, i negozi, la società ma non lui, Antonio Vespa, Zì Tonino, da oltre cinquant'anni chino a lustrar scarpe. L'ultimo sciucià di Napoli, originario dei Quartieri Spagnoli era davvero conosciutissimo e amatissimo dagli abituali frequentatori della strada dello struscio partenopeo. Aveva iniziato – lo raccontava egli stesso – negli anni Settanta a pulire le scarpe altrui. Sempre con molta dignità e sempre accogliendo tutti con un sorriso, stranieri, italiani, clienti e semplici curiosi.

Sciuscià, del resto, viene dall'inglese "shoe shine", "lustra-scarpe", e divenne un termine popolarissimo soprattutto con l'inizio della massiccia immigrazione napoletana negli Stati Uniti. Lui però faceva parte della "tradizione" degli sciuscià partenopei. Nel corso degli anni numerosi personaggi famosi si sono fermati al bancariello del lustrascarpe partenopeo: da Totò a Vittorio De Sica (che usò proprio la parola Sciuscià, deformazione dialettale di shoeshine, lustrascarpe, per dare il titolo a un suo bellissimo film neorealista sul dopoguerra a Napoli) e sul fronte politico dal comandante Achille Lauro ad Antonio Bassolino. L'ennesimo simbolo, per dirla alla Luciano De Crescenzo, della "Napoli che fu".

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