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È morta Fortuna, la storica ‘bananara’ di Montesanto

A oltre novant’anni, molti dei quali passati in strada a vendere banane e ananas, addio ad uno dei personaggi più conosciuti del mercato della Pignasecca. Da sempre allocata davanti alla stazione della Cumana di Montesanto, Fortuna la bananara era diventata conosciutissima non solo dai residenti ma anche da chi ogni giorno scendeva dai treni per riversarsi nel centro storico partenopeo.
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Erano altri tempi. I migliori e i peggiori, come avrebbe detto Charles Dickens. Il cuore pulsante di Napoli inspirava antico e restituiva moderno, bancarelle di trippa, pescivendoli e salumieri si mischiavano a praticanti e medici del Vecchio Pellegrini e studenti universitari sfornati da metropolitana, funicolare e Cumana di Montesanto, diretti in centro in cerca di una Nuova Strada. In testa il sogno di andare via dalla Napoli dell'arrangiare oppure di costruirne una diversa. Erano altri giorni, sì, ma nemmeno tanto diversi: risuonavano tra i vicoli in mezzo alla Pignasecca  allucchi e richiami d'ogni tipo. E risuonano ancora.

Lei immobile, nei colori vividi della frutta («'a banana nunn'è frutta!» diceva un anziano napoletano che ricordava come fosse raro, ai suoi tempi, mangiarne). Posto di guardia in faccia al sole di Montesanto o sotto pioggia che quando cade è malacqua per mura fracite, pareva un trompe-l'œil al centro di un formicaio.

Pochi giorni fa Fortuna, Furturella, ‘a bananara se n'è andata a quasi 92 anni. Gestiva uno dei quei commerci minuti che non hanno più ragione d'essere al giorno d'oggi. Ma chi compra banane in un buco che vende solo banane? Vendeva pezzi di tropici in una città di mare, caldo e vulcani: dunque tanto fuori luogo non era, Fortuna. Banane e poi ‘e nanasse, gli ananas. E nella stagione autunnale le noci. Una bilancia di ottone di quelle che non pesano e non peseranno mai un chilo onesto; un volto che sembrava il pescatore di Fabrizio De André; una ruga orizzontale a tagliare in due la fronte, occhi stretti e vivi che nel corso degli anni hanno affascinato tanti fotografi, turisti e professionisti che si sono trovati in mezzo alle chiazze di colori del mercato napoletano. Poche parole, chi sta mmiez ‘a via sa che meno parla e meglio è.

Nessuno la ricordava come la più affabile dei commercianti ma tutti l'hanno difesa quando, correva l'anno 2012, l'improvvisa ventata di legaritarismo post-elettorale che alcun miglioramento portò, impose lo sfratto della microscopica bancarella davanti alla stazione della Cumana. Così Fortuna, smessi i panni della commerciante non lasciò però la storica posizione. E, rimasta senza merce, stese semplicemente la mano per chiedere l'elemosina. «Una vita seduta su una sedia di legno con il freddo freddo ed il caldo africano mentre la vita ti passa a fianco, è una punizione sufficiente per ogni peccato. Avevo 14 anni ed era lì, era ancora lì quando sono tornata dalla seduta di laurea. Un dagherrotipo. Un riferimento» scrive Francesca Illiano, su Facebook, per ricordarla.

Fortuna di nome, ma fortunata la sua vita non fu, come raccontano molti del quartiere: famiglia numerose e pochi soldi per vivere. Fortuna, ovvero secondo l'etimologia del termine «ciò che di buono porta la sorte». Il caso le ha portato una lunga vita nel ventre della città. Un secolo di Napoli visto dagli occhi di una donna: peccato non essere riusciti a farle raccontare di più. Un altro come lei, ha fatto la storia del commercio minuto, dell'ambulantato partenopeo, quel Fortunato ‘o tarallaro che teneva ‘a robba bella, cantato di Pino Daniele. Per la bananara di Montesanto, invece, niente canzoni, solo memoria, racconti e immagini, potentissime. Una volta vidi una sua gigantografia in bianco e nero campeggiare in un bar in un quartiere di Dublino. E manco a dirlo servivano un caffè delizioso; altro che irish coffee: un grande espresso alla napoletana.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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