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Andare al lavoro o a scuola con la Cumana è un inferno. E ve lo racconto

Epopea Cumana. Capistazione che comunicano via telefono, tabelloni che non funzionano, treni che arrivano quando arrivano. Per non parlare di ritardi e cancellazioni improvvise dei viaggi.
A cura di Ida Artiaco
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"Il tempo passa e tu non passi mai", cantavano qualche anno fa i Negramaro. Parole che mi ritornano in mente quasi tutti i giorni. Non pensando all'estate, al mare, all'amore ma…alla Cumana. Ferma sulla banchina, i minuti scorrono lenti mentre aspetto con ansia di sapere se e quando il prossimo treno passerà, quante corse saranno soppresse, quanto ritardo farò a lavoro. Sì, perché la vita del pendolare, soprattutto di quello che vive nel Sud dell'Italia, è fatta di giornate precarie, di "sapere quando esci di casa ma non quando torni".

E Napoli, ovviamente, non fa eccezione. Qui c'è una delle ferrovie peggiori di tutto il Paese, la Circumvesuviana, dati messi nero su bianco da Legambiente, ma anche la Cumana e la Circumflegrea, le linee che collegano il centro storico a tutta l'area flegrea e che con la prima condividono la gestione da parte dell'Eav, non sono messe meglio. E gli ultimi, tragici fatti di cui è arrivata notizia dalla Puglia impongono una riflessione più profonda sul sistema dei trasporti pubblici locali perché, non è retorica dirlo, ogni giorno chi viaggia su questi mezzi mette un po' in pericolo la propria vita.

Prendo la Cumana da cinque mesi. Dopo sette anni a Roma, ho deciso, con entusiasmo, di tornare nella mia terra. Ci metterai poco ad abituarti di nuovo a questi ritmi, mi ripetevo ricordando i tempi del liceo in cui per arrivare a scuola ci mettevo tra i 60 e i 70 minuti tutte le mattine, quando mi andava bene. Magari la situazione è migliorata, cercano di convincermi. Invece, è stato come fare un salto indietro nel tempo. Stazioni completamente abbandonate a se stesse, niente tornelli e biglietterie chiuse, che anche chi vuole fare il biglietto deve percorrere chilometri per trovare un rivenditore. Ma, forse, questo è il male minore. Per un lunga tratta della linea c'è un unico binario. Bisogna aspettare le coincidenze, spesso anche per 20 o 30 minuti. Bisogna aspettare, per ripartire, che il semaforo da rosso diventi verde.

Sì, perché qui la tecnologia che si utilizza è ancora quella di più o meno cinquant'anni fa. I capostazione comunicano tra di loro attraverso il telefono, oppure scendono direttamente dalle vetture per fare qualsiasi tipo di comunicazione. Ma il vero fiore all'occhiello della linea è il grosso tabellone piazzato su un tavolaccio all'interno delle stazioni sul quale s’illuminano puntini rossi quando un treno raggiunge la meta. È in questo modo che si gestiscono i passaggi delle vetture. Queste ultime sono obsolete, in quelle più nuove spesso il sistema di aerazione non funziona bene, per cui si respira poco e male e quando c'è un numero di passeggeri eccessivo va a finire che la gente svenga o collassi. Non è successo, davanti ai miei occhi, solo una volta. A ciò si deve aggiungere il perpetuo stato di agitazione dei dipendenti della società che gestisce la tratta, l'Eav. Il che provoca soppressioni di corse, ritardi continui.

E intanto il numero di persone in attesa sul binario aumenta, e tu speri che non ci sia la calca per riuscire a respirare o per reggersi in caso di frenate. Insomma, è un'esperienza fantascientifica. Il bello è che dalla zona flegrea questo è l'unico mezzo per raggiungere il centro di Napoli. Certo ci sono dei pullman, ma lì bisognerebbe fare un discorso a parte. Sono centinaia i lavoratori e gli studenti che salgono tutti i giorni su questi treni, che pretendono modernità e dignità, la possibilità di andare a studiare e lavorare in condizioni umane. Nessuno qui vuole un'arretratezza che troppo spesso ci è imposta dall'alto. Non è retorica, è storia di vita vissuta.

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