Malati immaginari per sfuggire al carcere: i boss in fuga grazie ai medici della camorra
Nella finzione letteraria ‘il Freddo' di “Romanzo criminale” si iniettò nella giugulare una siringa di sangue infetto. Non serviva ad ammalarsi ma ad alterare i risultati dei marcatori tumorali. E infatti gli fu diagnosticato un adenocarcinoma del sistema linfatico: “Persino uno studente del primo anno – scriveva Giancarlo De Cataldo nel suo libro – si sarebbe accorto che la salute del Freddo era di una robustezza da fare schifo”. Nella realtà fu così che Maurizio Abbatino, boss della Magliana, riuscì a guadagnare gli arresti domiciliari in ospedale e da lì la via per una lunghissima latitanza in Sudamerica.
Corrado De Rosa, psichiatra forense e autore, tra gli altri, de “I medici della camorra”, ha ricostruito invece i casi più clamorosi di falsa malattia mentale. Diagnosi affidate a quelli che furono i più bravi e i più controversi periti di terroristi neri, di boss mafiosi e di camorristi: da Aldo Semerari, psichiatra di Raffaele Cutolo, decapitato a Ottaviano nel 1982, a Franco Ferracuti, fino a Giuseppe Lavitola, che diagnosticò la malattia mentale a Vincenzo De Falco, uomo di punta del clan Bardellino e dei Casalesi, e l’anoressia al fratello Nunzio, mandante dell’omicidio del parroco di Casal di Principe don Peppe Diana. Nel commento al testo di De Rosa, Franco Roberti, ex Procuratore nazionale, ricordava un’indagine conoscitiva della Direzione Nazionale Antimafia sugli stati di procurata incompatibilità con il regime carcerario: “Il fenomeno era molto allarmante, poiché numerosi erano i casi di detenuti (camorristi, mafiosi, ‘ndranghetisti) accortamente pilotati attraverso un percorso che muoveva da una diagnosi-grimaldello di disturbo della personalità antisociale/borderline, passava per un deperimento organico autoindotto e approdava a una perizia favorevole alla loro scarcerazione per motivi di salute”.
Alla casistica mancava la cecità, quella che nel 2008 spalancò le porte del carcere al già ergastolano Giuseppe Setola, l’uomo della stagione stragista dei Casalesi. Per trasformarlo in un invalido, hanno accertato le indagini che hanno poi portato alla condanna dello stesso Setola e dell’oculista Aldo Fronterrè, i suoi avvocati si avviarono con molto anticipo Lo raccontano le carte dell’inchiesta ma anche il dispositivo della sentenza della seconda sezione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con il quale il presidente Loredana Di Girolamo ha ordinato la cancellazione delle diagnosi false dalla cartella clinica di Giuseppe Setola e la trasmissione alla Procura dei verbali di udienza nei quali emerge la responsabilità di altri quattro medici.
Perché la falsa maculopatia retinica all’occhio destro, con la previsione della cecità, risale a quasi due anni prima della perizia Fronterrè. Dunque, tra il 2004 e il 2006 un medico consulente del carcere di Santa Maria Capua Vetere e poi un collegio di tre periti, diagnosticarono per primi la falsa patologia. Serviva, però, la dichiarazione di incompatibilità con il carcere. Ed ecco che i difensori di Setola, Alfonso Martucci, Girolamo Casella e Salvatore Maria Lepre, contattarono il luminare lombardo (in realtà originario di Ragusa ma trapiantato a Pavia).
Aldo Fronterrè, specializzato in chirurgia corneale, oculista nella clinica “Citta di Milano” e primario alla Maugeri di Pavia, era l’uomo giusto. Lo contattarono nel 2006 e insieme costruirono il percorso diagnostico: il ricovero a Milano per accertamenti, le visite, la conferma della prossima cecità con conseguente incompatibilità con il carcere. Fronterrè, quindi, fece proprie le conclusioni dei quattro medici che avevano già visitato Setola in carcere spingendosi ben oltre nelle prospettive. Operazione costata in tutto duecentomila euro, non si sa bene in quali e quante tasche finiti.
Il killer casalese, oggi pluriergastolano, a quel tempo era detenuto a causa di tre distinti provvedimenti, tutti in fase dibattimentale. Il primo disco verde, quello apparentemente più difficile, arrivò dalla IV Corte di Assise di Appello di Napoli, che lo stava processando per la partecipazione all’omicidio di un garzone di macelleria di Teverola, Genovese Pagliuca, “colpevole” di aver difeso la fidanzata sequestrata e violentata dall’amante del boss Francesco Bidognetti e da alcuni uomini del clan. Disco verde propedeutico alle altre, inevitabili e identiche pronunce del Tribunale di Napoli e della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere.
Alla fine di gennaio del 2008 Giuseppe Setola lasciò il carcere alla volta di un residence di Pavia dal quale era autorizzato a uscire ogni giorno per “visite e accertamenti” alla Maugeri. Fino al 7 aprile dello stesso anno, tre settimane dopo l’arringa-proclama dell’avvocato Michele Santonastaso nel processo Spartacus (condannato in primo grado e in appello per associazione camorristica), quando evase dall’alloggio e tornò in Campania, in provincia di Caserta, per mettersi al comando dell’esercito stragista che in nove mesi ucciderà 18 persone e ne ferirà altrettante. La grave cecità diagnosticata dal professor Fronterrè non gli aveva impedito di sparare migliaia di proiettili e di seminare il terrore in tutta Terra di Lavoro. Durante il processo per la strage degli africani, nel 2011, l’oculista pavese confermò la sua diagnosi, ribadendo l’incompatibilità con il carcere del principale imputato. Perizia pagata 50mila euro.
Nota a margine, a proposito dell’avvocato Santonastaso. Il processo per associazione camorristica è fondato, tra l’altro, su un’altra perizia di comodo: quella fonica del professore catanese Adolfo Fichera, arrestato e poi risultato completamente estraneo al fatto. La compagna di Bidognetti, che collabora con la giustizia, aveva riferito di avergli consegnato tramite il cognato centomila euro a Santonastaso per aggiustare la perizia fatta su alcune intercettazioni che riguardavano un omicidio commesso dal figlio del boss, Aniello. L’unica certezza emersa dal dibattimento è che Fichera non ha mai visto un soldo e non ha truccato alcunché.