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Firmò falsi certificati per Giuseppe Setola: condannato a 10 anni oculista di Pavia

Condannato a 10 anni e sei mesi di reclusione l’oculista di Pavia che firmò falsi certificati medici per il boss Giuseppe Setola, condannato a sua volta a nove anni, sebbene già condannato in via definitiva a sei ergastoli. Senza quei certificati fasullo, la deriva stragista del clan dei Casalesi nel 2008 non sarebbe stata possibile.
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Giuseppe Setola.
Giuseppe Setola.

Il patto mostruoso ci fu. In cambio di denaro, soldi necessari a pagare ozi e lussi, si prestò ad aggiustare una perizia, a piegare la scienza medica a ragioni di camorra, a facilitare una scarcerazione altrimenti impossibile. E con essa diciotto omicidi. E diciotto ferimenti. E centinaia di attentati. Senza il tradimento del giuramento di Ippocrate la deriva stragista del 2008 non sarebbe stata possibile. Senza di lui, il valentissimo professor Aldo Fronterrè, Giuseppe Setola non sarebbe mai diventato la mano armata di un clan che vedeva prossima la sua fine e che, invece, voleva risorgere.

Alle 17 del 18 febbraio, sei anni e due mesi dopo l’arresto, i giudici della II sezione penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Loredana Di Girolamo) hanno condannato entrambi, il medico e il paziente, l’ex primario della clinica Maugeri di Pavia e il killer casalese che si finse cieco per restituire al clan dei Casalesi quella forza e quel potere di intimidazione che gli ergastoli del processo Spartacus avevano fiaccato.

Senza di lui, senza il medico ragusano trapiantato in Lombardia, Setola non avrebbe potuto ottenere la scarcerazione, non sarebbe evaso dai domiciliari, non avrebbe seminato il terrore durante i nove mesi più tragici della storia della provincia di Caserta. Per i giudici, il lungo dibattimento non è servito a dimostrare l’estraneità di Fronterrè alle logiche di camorra. Anzi. Alla fine lo hanno condannato a 10 anni e sei mesi di reclusione. Nove per Setola, già condannato in via definitiva a sei ergastoli. Il primo era accusato di concorso esterno all’associazione mafiosa e di falsa perizia. L’altro di simulazione aggravata dall’articolo 7 della legge antimafia. Accolte nella sostanza le richieste del pm Alessandro Milita, che aveva istruito il processo quando era in servizio alla Dda di Napoli e che lo ha concluso da procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere. Aveva chiesto per tutti e due gli imputati la condanna a 16 anni di reclusione.

Inquietante la storia che lega Aldo Fronterrè, difeso dall’avvocato Pasquale Coppola) a Giuseppe Setola (avvocato Paolo Di Furia). Storia che inizia molto prima della scarcerazione (a gennaio del 2008) per incompatibilità con il regime carcerario a causa di una gravissima patologia visiva. Stando alle carte, e alla foto diffusa durante il periodo delle stragi, Setola era quasi cieco e costretto a muoversi con un bastone. Mai avrebbe potuto sparare, dicevano le perizie. Mai avrebbe potuto imbracciare il Kalashnicov e uccidere con tanta freddezza e determinazione. Ma quando il killer casalese si era rivolto al medico di Pavia la stagione stragista non era stata ancora pianificata. A lui serviva uscire dal carcere in previsione di una condanna al carcere a vita, nell’aria prima che il clan dichiarasse la guerra totale allo Stato. L’ha raccontata in aula Girolamo Casella, avvocato, che fu il suo difensore prima dell’arresto e la condanna (definitiva) a undici anni di reclusione.

Fu proprio Casella, su mandato del suo assistito, a rivolgersi al medico tra l’estate del 2006 e gli inizi del 2007. E fu in quel periodo, dunque, che i lievi disturbi visivi all’occhio sinistro di cui Setola soffriva sin da ragazzino si trasformarono in un invalidante foro maculare all’occhio destro. "Con me – ha detto in aula – venne anche Massimo Alfiero, molto vicino a Setola. Gli portammo tutta la documentazione, comprese le perizie ordinate dal tribunale e le consulenze di parte, qualcuna favorevole, altre sfavorevoli a Setola. Ricordo che nessuna espressamente dichiarava Setola incompatibile con il carcere. Dopo aver letto le carte e accettato l'incarico, per le cui spese Alfiero disse che avrebbe provveduto lui a nome di Setola, Fronterrè mi spiegò che avrebbe fatto la consulenza in modo da dichiarare l'incompatibilità carceraria di Setola, così come da noi richiesto. Sul fatto che Setola fosse un camorrista già condannato per reati gravi, Fronterrè disse che erano cose che non gli interessavano. Peraltro Setola mi disse che Fronterrè aveva operato e dichiarato incompatibile con il carcere anche Enrico Martinelli (altro boss dei Casalesi condannato, ndr)".

I certificati furono depositati in tutti i processi in cui Setola era imputato, in tutte le carceri. Tutti presero atto della diagnosi del professor Fronterrè. Lo fece anche la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, che gli concesse gli arresti domiciliari nel residence annesso alla clinica Maugeri. Dove effettivamente Setola andò, e dove restò fino al 18 aprile del 2008. Quel giorno tornò in Campania, in provincia di Caserta, e iniziò a pianificare omicidi e stragi. Ma non basta. Per il Tribunale, che ha dichiarato in sentenza la falsità delle cartelle sanitarie di Setola, l’attività di aggiustamento delle perizie proseguì anche dopo la cattura del killer, il 15 gennaio del 2009; quando, cioè, ormai tutto il mondo, che lo aveva guardato in faccia e visto il ghigno sfrontato mentre si avviava verso il carcere, sapeva che era stato lui a sparare: a innocenti imprenditori che avevano denunciato il racket, a familiari di collaboratori di giustizia, a poveri lavoratori ghanesi colpevoli solo di avere la pelle nera. Proprio durante il processo per la strage di Castelvolturno fu depositata la seconda perizia, che confermava la cecità dell’assassino. Anche questa richiesta da Girolamo Casella: "Accettò – ha raccontato – ma ci chiese 50mila euro, visto che la volta precedente lamentava di non essere stato più pagato".

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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