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Il sogno infranto della Nuova Florida domizia: storia dell’ex Cirio di Mondragone

Il sogno di costruire la Nuova Florida s’infranse contro le onde sismiche del bradisismo, fu travolto dall’assistenzialismo peloso utile soltanto ad alimentare il voto clientelare. Nella zona rossa di Mondragone covava da tempo il germe, mai sconfitto, di quanto è già stato. Un’apparente guerra tra poveri, dove i poveri non sono quelli che protestano, utile a sgomberare il fortino dello spaccio da quanti non appartengono al sistema e aprire le strade a una nuova speculazione.
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Il sogno di costruire la Nuova Florida s’infranse contro le onde sismiche del bradisismo, fu travolto dall’assistenzialismo peloso utile soltanto ad alimentare il voto clientelare. Svanì del tutto qualche tempo dopo, sostituito dai sempre nuovi programmi di nuove speculazioni edilizie, sempre uguali a se stesse, sempre parimenti incompiute.

Sono passati quarant’anni e più da quando il progetto di Camillo Federico, notabile della Dc di Mondragone, poi presidente della Fiera d’Oltremare, naufragò contro gli scogli di emergenze che si sono sommate ad emergenze. Il parco residenziale costruito a due passi dalla passeggiata di viale Margherita, pensato perché fosse al servizio dei dipendenti della Cirio – sulla Domiziana, lato mare – doveva poi trasformarsi in un villaggio per i turisti, contraltare gemello di quella Pinetamare dove il sole, recitava la pubblicità, c’era per 365 giorni all’anno.

Con gli sfollati di Pozzuoli, che furono mandati in quelle case mai prima abitate, iniziò, come sul litorale sud di Castelvolturno, il progressivo degrado. Niente più turismo pendolare, niente più seconde case, niente più binomio mare-agricoltura, su cui pure si era tanto discettato e tanto speso, e di cui resta un altro simulacro insopportabilmente fatiscente a neppure due chilometri: la torre Idac, mercato ortofrutticolo in disarmo dalla metà degli Anni Ottanta, destinato all’abbattimento ma sempre in piedi. Un mostro dalle finestre infrante, gli infissi divelti, i calcinacci cadenti. A guardare bene, anche i resti dei bivacchi dei killer di camorra che da lì partivano per le loro spedizioni di morte e lì tornavano – come dopo la strage di Pescopagano – per affidare alle fiamme le moto e le armi.

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È lì, in quei due chilometri di territorio cadente, che oggi vive la comunità bulgara mondragonese, quella impiegata nelle campagne. Le braccia destinate alla raccolta di pomodori, ortaggi, percoche, nettarine, altrimenti destinati a marcire. Oggi ci sono loro, gli ultimi, i nuovi schiavi: tre euro all’ora agli uomini, un’euro e cinquanta alle donne, 75 centesimi ai bambini, E sì, perché anche in Terra di Lavoro – e non solo nel sud est asiatico, lavorano pure i bambini. Vivono nelle baracche, in case ridotte a ruderi, nei palazzi del parco Nuova Florida, quello chiamato parco Cirio. Sono in subaffitto, un tanto a posto letto o a camera. I vicini sono altri marginali: senzatetto, tossicodipendenti, prostitute. Un ghetto al quale è impossibile, comunque e sconsigliabile. accedere se non appartieni alla comunità bulgara, non cerchi droga, non vendi droga (ma lo spaccio è tutto nelle mani di italiani, i soliti). I proprietari? Chissà. Molti hanno comprato alle aste giudiziarie, la maggior parte sono prestanome di ciò che resta del clan La Torre. Qualcuno se l’è aggiudicata per sbaglio, ed è stato costretto a scappare.

Mi raccontava un uomo, napoletano trasferito a Mondragone per problemi di lavoro: «Volevo cambiare zona, ebbi l’occasione di comprare questa casetta. Erano tutti poveracci ma a me non interessava. Solo che ho capito presto di non essere gradito. Mi hanno divelto la porta, scassinato gli infissi, rubato il motorino. Avevo comprato una casa che non era destinata a me ma a un capopiazza dello spaccio. Denunce? Ne ho fatte tante. Tutto inutile. Solo i bulgari sopportano in silenzio. Lavorano e stanno zitti. Ora me ne vado».

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E’ in quel grumo di miseria umana, sociale, economica che il Covid si è annidato, chissà quando e per quanto tempo. Scoperto per caso quando una donna ha partorito in ospedale, è diventato il pretesto per rinfocolare intolleranze e razzismi mai sopiti: ieri erano i tossicodipendenti e i braccianti africani, oggi i poveri bulgari, capro espiatorio prescelto da frange camorriste, sovranisti dell’ultim’ora (e spesso le due categorie si sovrappongono fino a diventare una sola cosa), lo scemo di turno che denuncia (e c’è pure chi lo sta a sentire) che quei poveretti avevano lavorato pure durante il lockdown. Inutile spiegare che il lavoro in campagna non si è mai fermato e che anzi il virus è diventato il pretesto per pagare ancora meno di prima: anche diciotto ore di lavoro per neppure trenta euro, cinque da dare al caporale.

Tutto già visto: a Mondragone, quando Augusto La Torre ordinava di allontanare gli africani con il fucile caricato a sale, con le bombe, con gli omicidi degli uomini-birillo, investiti sulla Domiziana e lasciati morire nei canaloni. A Castelvolturno, dove la camorra casalese gestiva il mercato degli alloggi e organizzava pure le proteste contro i suoi stessi inquilini. Fino alla strage del 2008, quando l’orrore per la morte di sette innocenti riuscì a mettere la sordina alle proteste di chi predica l’ordine suprematista, singolarmente uguale a quello dei clan. Nella zona rossa di parco Nuova Florida covava da tempo il germe, mai sconfitto, di quanto è già stato. Un'apparente guerra tra poveri, dove i poveri non sono quelli che protestano, utile a sgomberare il fortino dello spaccio da quanti non appartengono al sistema e aprire le strade a una nuova speculazione.

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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